La Liguria del cibo secondo Paolo Massobrio, giornalista, scrittore, gastronomo, fondatore di Golosario e del Club Papillon. Lo abbiamo incontrato qualche settimana fa a Pieve di Teco, ad Expo Valle Arroscia, dove, da par suo, ha moderato alcuni dibattiti sull’ormeasco e sul suo futuro, ma anche suggerito strategie di valorizzazione e comunicazione per le eccellenze liguri.
Ovvio, quindi, partire con una domanda sullo stato della cucina ligure:
“Da buon piemontese ho in Liguria alcune certezze enogastronomiche. Certezze che non sono tanto piatti di mare quanto di collina e Alpi Liguri. Credo sia questa la vera cucina ligure. Quella di mare, con eccellenti eccezioni, la considero una cucina turistica, dettata più dalle esigenze ed alle richieste degli ospiti piuttosto che della tradizione”.
Veniamo alla cucina di certezze che Massobrio declina in 10, tra prodotti e ricette che rispecchiano la Liguria dell’enogastronomia. “Per prima cosa la focaccia, nelle mie scorribande liguri non manca mai un salto da Cassina a Varigotti per una ‘slerfa’ di focaccia da urlo. Il secondo piatto che ho nel cuore è il coniglio alla ligure, sia nella versione di montagna, con Rossese od Ormeasco, sia in quella più Albenganese col Pigato. E’ un piatto dove veramente si assaggia il territorio ligure, dalle olive taggiasche all’olio extravergine, dai pinoli al timo”.
E visto che si parla di coniglio con vini liguri, d’obbligo una divagazione enologica: “Parliamo del pigato, si sente e si legge della sua parentela con il vermentino, sicuramente vera, ma quello che è diventato oggi è un vino assolutamente autoctono, con profumi e sapori diversi dal cugino e, soprattutto, capace di raccontare i territori dove è coltivato. Stessa cosa dicasi per l’Ormeasco: un clone del dolcetto? Sicuramente sì, ma come gusti ed evoluzione non possiamo più chiamarlo dolcetto, è un qualche cosa di più, di diverso, di autoctono, come detto prima, un vino veramente sorprendente che valorizzato nella giusta maniera può diventare un grande ambasciatore della Liguria”.
Restiamo in Valle Arroscia, ma torniamo ai prodotti e questa volta Massobrio sorprende col suo elogio all’aglio di Vessalico: “Un aglio veramente eccezionale, io lo penso sempre nella bagna cauda piemontese, ma è veramente ottimo nel pesto e ha qualità uniche, sicuramente diverse da qualsiasi altro aglio, sia pure di eccellenza, coltivato in Italia. Anche in questo caso valorizzarlo fa bene a tutto il mondo dell’eccellenza gastronomica regionale. Rimanendo in montagna penso ai fagioli di Pigna, già ottimi con un filo d’olio extravergine di taggiasca, ma eccezionali se abbinati allo stoccafisso o alle acciughe. E ancora, rimanendo sulle Alpi Liguri, che dire dei formaggi di pecora brigasca, vere eccellenze, salvati da pochi pastori che regalano formaggi di grandissimo valore e di grandissimo gusto”.
Poi due piatti che Paolo Massobrio considera veri peccati di gola: i pansoti alla salsa di noci e le zucchine ripiene.
“Quando le trovo, ma è sempre più difficile, ne faccio scorpacciate, sono quei piatti che dovrebbero entrare nei menù di tutti i ristoranti, non solo quelli dell’entroterra. Credo che ogni ristorante ligure, di costa o di entroterra, dovrebbe mettere in menù almeno due piatti della tradizione, proprio per cercare di far conoscere una cucina ricca di storia e tradizione, oltre che di sapore. Sarebbe un modo per far venire due volte i clienti, una per la cucina moderna, la seconda per quella di tradizione”.
Nel decalogo non manca il monumentale (e un po’ storicamente ipocrita) cappon magro, “Anche se è sempre più difficile trovarne una versione tradizionale e buona, imperano quelle destrutturate, che però di cappon magro hanno ben poco”, commenta.
C’è un undicesimo “comandamento”, la torta Pasqualina: “In primavera vengo in Liguria a comprarla proprio per le feste pasquali, e anche se non ha più le tradizionali 33 sfoglie dei ricettari genovesi, le torte verdi liguri hanno sempre la capacità di essere un piatto della festa, meglio se gustata in famiglia o, almeno, in compagnia”.
Intervista a cura di Stefano Pezzini