Carnevale, ovvero “levare la carne” (il martedì grasso…) nell’imminenza del mercoledì delle Ceneri e delle astinenze quaresimali, ma anche un’occasione un po’ pagana un po’ cristiana di mascheramento, di sfilate e carri, di danze e canti, di coriandoli e dolciumi (ad ogni campanile il suo).
Un’occasione di allegria dionisiaca e financo trasgressiva che “affratellava” campagne e città (talora alleviando un poco la pena di epidemie e carestie), e come non pensare – per limitarsi all’Italia – a Venezia, Viareggio, Ivrea…
Ma anche, in Liguria, all’appartata valle Arroscia, là dove l’area ingauna ascende all’imperiese, allorché i “mascheri” (baldi giovani in lacere “mise” femminili) assediavano gli usci impetrando uova, olio, vino… Le fanciulle tramutavano poi quella “preda” in frittelle – salate e dolci –, che nei “canissi” (capanni rurali) favorivano le liaisons amorose e ormonali. Era il primo – beninteso auspicando primavera – di tanti irrinunciabili riti via via a calendario (pentolacce, alberi della cuccagna, falò di San Giovanni Battista…), e presumo, Amico Lettore, che molti ti siano più che noti e ti stiano a cuore.
Recita emblematicamente la celebre canzonetta, coinvolgendo in un tour tutt’italiano nientemeno che Arlecchino (Bergamo), Pulcinella (Napoli), Balanzone (Bologna), Colombina (Venezia): “Viva viva il carnevale con gli scherzi che ti fa. Viva viva il carnevale l’allegria ti porterà. Ecco arriva e fa un inchino il simpatico Arlecchino. Trallallallallallalà trallallallallallalà trallallero trallallero trallallerolerolà. Dietro a lui c’è Pulcinella sa danzar la tarantella, trallallallallallala… Lo vedete col pancione, sta arrivando Balanzone, trallallallallallala… Deliziosa è Colombina, che è vestita da damina…”. Le maschere, d’altronde, fin dalla protostoria furono il tramite con cui gli “eletti” potevano iniziaticamente porsi in contatto con gli spiriti.
I menu regionali ovviamente hanno sempre assecondato la festa. Tuttora includono ad esempio – si tratta in genere di dolci, e talvolta ti suggerirei la più leggera cottura in forno anziché la frittura – cicerchiate, berlingozzi, castagnole, frappe, schiacciate, castagnacci, migliacci, zeppole, arancini, caragnoli… Né certo dimentico i sanguinacci, gloria di un tempo che ancora consentiva la vendita al pubblico di sangue suino, quinto quarto che sarebbe stato delittuoso sprecare. La pasta, viceversa, sovente aveva, ed ha, le sembianze di frittata (Calabria…), di lasagne (Napoli…), di gnocchi (Verona…).
Ed in Liguria? In Liguria ecco spiccare (ma mi attengo al puro ordine alfabetico onde non anteporre arbitrariamente l’una all’altra) le località di Albenga, Ameglia, Cairo Montenotte, Carcare, Celle Ligure, Diano Marina, Genova, La Spezia, Loano, Moneglia, Noli, Pieve di Teco, Riomaggiore, Rocchetta Vara, Sanremo, Savona, Sestri Levante, Spotorno, Ventimiglia… La miglior fonte culturale cui abbeverarsi è tuttora Paolo Giardelli, Tradizioni popolari in Liguria, liberamente reperibile online.
La vivacissima compagnia di Carnevale può esser rappresentata, caso per caso, da Capitan Spaventa (o Fracassa) della Commedia dell’arte cinquecentesca (lo spadaccino fu idea dell’attore Francesco Andreini); il popolano Baciccia della Radiccia col fido sodale Barudda (in origine burattini “partoriti” dall’attore Raffaele Pallavicini); Re Cicciulìn (a Savona), di recente sbarcato con Signora, uomo di mare magnanimo; il giardiniere Becciancìn/Beciancin (a Loano) con gli immancabili gazzo (berretto di lana) e rigadera (innaffiatoio); Nuvarìn der Casté (a Cairo Montenotte); Bacì l’Inciaštru (a Pieve di Teco); Batiston/Battiston(1) e la di lui moglie Maià (La Spezia). Tutti personaggi dal chiaro – e quasi plautino – significato allegorico, il miles gloriosus, il bagatto, il pasticcione, l’indolente, il mugugnone… Traggo da un testo della storica Silvia Bottaro che Cicciulin di Savona è, grazie all’artista Romeo Bevilacqua, l’unica maschera ligure iscritta all’albo ufficiale delle (50) maschere italiane, e negli anni ‘50, grazie agli editori Spirito e Sabatelli, la città disponeva di una sorta di magazine ufficiale del Carnevale (leggendarie alcune copertine). Quanto a Becciancin, dal secondo dopoguerra Loano gli affianca Puè Peppin, che sfilava a cavallo, sorridente sotto la parrucca di riccioli biondi e dentro un abito che allude alla celebre, settecentesca Porta Passorino, la torre dell’orologio.
Ma a Genova, oltre a Capitan Spaventa, avresti via via incontrato anche vari “villici” (per meglio dire un contadino che “provocava”, ricambiato, una pastorella…), il medico (di nero vestito e con minaccioso clistere), il nobile (caricatura della decadenza), la balia (in realtà un energumeno con enormi seni)…
Va tuttavia sottolineato che la Liguria, costante e ineludibile punto di incontro di culture e costumi, luogo per eccellenza – e crogiuolo – di “contaminazioni” (da alcuni anni i sociologi lo chiamano melting pot), ha “apprezzato” il Carnevale alquanto tardi, forse mediato da Venezia, all’epoca delle rivalità marinare (e che poi Genova abbia addirittura scavalcato la Serenissima quanto a licenziosità è tema su cui riesce arduo pronunciarsi).
Sia come sia, a Genova dal ‘200 si concessero tregue di pagamento agli insolventi così che potessero godersi il dì di festa, ma dal ‘400 si emanarono anche bandi che esortavano a denunciare (dietro ricompensa di 1 fiorino) coloro che, travisandosi, purtroppo compivano furti. Dal ‘500, poi, l’usanza solenne del carrosezzo, estintasi nel 1872(2), vide i fastosi cortei – con giovani dame avvenenti “armate” di fiori – presi di mira da (giovanissimi) cecchini che scagliavano uova marce. Era già accaduto in passato, con lanci di “citrone, ova piene di farina et altre sporcitie, limoni et boghe”.
Ma nonostante tutto viva viva il Carnevale…
I pifferi accompagnavano girotondi, si danzava una “moresca” (che in parte ancora ritrovi, ogni anno da mezzo secolo, grazie agli spadonari di Bagnasco in val Tanaro), i giocolieri ideavano le migliori performance… E nei saloni dei palazzi (più tardi nelle sale da ballo borghesi) si folleggiava tanto quanto in piazza e nelle bettole. Infine si aggiunse alle brigate anche o scio Reginn-a (Francesco Capanna, nel ‘700 realmente esistito), giunto dal ponente con cappello a cilindro, che si guadagnava da vivere intrattenendo gli avventori delle osterie. Era stato ricco e forse si fingeva tonto, ma la notte di Pentecoste del 1792, secondo alcune fonti, per davvero stramazzò sulle scale di una taverna. Gravemente ferito, morì il giorno dopo all’ospedale di Pammatone.
A tavola, il menu della Superba includeva solitamente ravioli “da farsene una panciata” (a Riomaggiore se ne mangiano per 3 giorni di seguito), braciolette di maiale, formaggi, pasticciotti a buon boccone, s-ciumette d’albumi, frutta fresca, e vini rossi di generosa struttura… Naturalmente non ritorno sul tema “bugie”, che ho estesamente trattato sul numero di Liguria Food apparso proprio un anno fa, mi limito ad aggiungere che, all’epoca dei “migliori” Dogi, i ceti patrizi in visita ai propri “simili” recavano in dono sobrie ma gustose guantiere di bugie.
Quanto alle braciolette, si noti peraltro che il maiale presenzia anche i rituali carnevaleschi di Cipro, della Repubblica Ceca, del Brasile… Vorremo quindi un giorno – finalmente e meritatamente – definire quell’umile quadrupede una risorsa “cosmopolita”? Buon Carnevale, Amico Lettore, e…buona Quaresima!
(1) mi piace sottolineare che il Museo etnografico “Giovanni Podenzana”, in via del Prione 156, ha dedicato tra febbraio e marzo 2019 un’interessantissima mostra al Carnevale spezzino tra ‘800 e ‘900, amorosamente restaurando anche foglietti coi testi delle vecchie canzonette eseguite proprio durante i Carnevali tra XIX e XX secolo, nell’àmbito di autentiche contese poetico-dialettali cui diedero lustro anche celebrità cittadine, si pensi a Ubaldo Mazzini (1868-1923), storiografo e pubblicista di vaglia
(2) dall’area del Bisagno la manifestazione si era progressivamente trasferita verso il centro città e le strade più “nobili”
Umberto Curti