Sette, come i sette samurai, i sette nani, i sette vizi capitali, le sette virtù, e si potrebbe andare avanti a lungo. Ci fermiano alle sette annate di Pigato Vignamare di Casa Lupi protagoniste di una verticale da urlo andata in scena, sotto l’attenta regia di patron Massimo Lupi, sabato pomeriggio al ristorante Alta Marea di Imperia, versante Porto Maurizio. Raccolto ed elegante, sulla Spiaggia d’Oro, storico stabilimento balneare portorino dove, negli Anni ‘30, si allenava la squadra di pallanuoto capitanata da Felice Cascione, non solo capo partigiano entrato nella leggenda per la sua tragica fine e l’aver scritto Fischia il Vento, ma anche azzurro di pallanuoto, Alta Marea è stata location ideale per degustare un vino che dal mare prende la sua anima.
Torniamo alla verticale, sbilenca, nel senso che accanto a sommelier, Ais e Fisar, giornalisti più o meno specializzati, si sono anche semplici appassionati. “Quel che volevo, non solo una degustazione per addetti ai lavori, ma semplificata, per capire come le persone accolgono un Pigato invecchiato, una rivoluzione rispetto a chi crede che un bianco debba essere bevuto giovane”, spiega Massimo Lupi, circondato dai due giovanissimi figli. Al tavolo della degustazione, in ordine sparso, l’enologo e produttore Alex Berriolo, i sommelier Augusto Manfredi, Ivano Brunengo, Franco Demoro, Angelo Taranto (anche giornalista e produttore), Cinzia Tosetti (sommelier, Donna del Vino e collaboratrice della guida ai vini del Gambero Rosso), Paola Vivian, chi scrive e altri ancora.
Suggestivo il titolo della verticale: le vigne da Amare, le vigne Amare, le vigne a Mare. I vigneti del Vignamare, i Cà de Pria, guardano naturalmente il mare, l’età media del vigneto è di 50 anni. Piante che producono poco ma che danno uve di grandissima qualità. Il vino fermenta per il 70 per cento in acciaio e la restante parte in botti piccole; l’affinamento in barriques dura due anni. Il colore è giallo dorato, armonico. Ogni annata, per via dell’affinamento, cambia, ma le caratteristiche comuni sono, all’olfatto, aromi di frutta, matura, disidratata, con prevalenza albicocca; sentori di spezia, erbe aromatiche, vaniglia, agrumi e miele. In bocca entra fresco, più caldo con l’invecchiamento, sapido e cremoso.
Veniamo alle sette annate passando la parola al nostro sommelier di Franco Demoro:
Il primo vino degustato è un’anteprima: 2017, 14°, servito in magnum: giallo paglierino scarico, con riflessi verdolini che fanno presagire già alla vista la sua giovinezza. Il vino risulta poco scorrevole alla roteazione nel bicchiere, facendo pronosticare in bocca un certo corpo. All’olfattiva è schietto, fine con aromi di limone, ginestra, un fruttato fresco di pesca e vaghi accenni di erbe aromatiche. In bocca conferma la sua estrema gioventù, caldo, avvolgente al palato, sapido, con un’ottima acidità, e un corpo importante; sicuramente leggermente disarmonico con prevalenza di parti dure: tutti fattori che mi fanno asserire che siamo davanti ad un vino sui cui investire nell’acquisto di bottiglie da dimenticarsi in cantina, perché avrà una lenta maturazione e buona longevità.
Secondo vino anno 2015, 14°: il colore si fa più intenso con un bel giallo che ricorda la paglia del grano fresca, brillante e scorrevole alla roteazione. Il naso è di fiori (biancospino) fruttato (albicocca) e iniziano a comparire sentori terziari di affinamento tipici del Pigato, ossia quell’evoluzione verso gli idrocarburi, la terra bagnata. In bocca è morbido, caldo, con un discreto corpo (meno del precedente) sapido, fresco, equilibrato, buona persistenza dove emergono lievi sentori di legno. Si inizia a capire come si trasforma ed evolve il pigato.
Terzo vino anno 2012 gradazione 14,5: il colore si fa sempre più intenso, il giallo paglierino diventa carico, abbastanza scorrevole, limpido e luminoso. Il naso è intenso sorretto da un erbaceo, da un fruttato di pesca gialla e sentori di mallo di noce. Qui le note di idrocarburi (come un riesling) sono meno evidenti, dovute sicuramente all’annata particolare ricca di piogge. In bocca è caldo, di corpo, morbido con una avvolgente burrosità, cremoso, sapido e sorretto ancora da una buona acidità. Ottimo vino, equilibrato.
Il quarto vino della serata appartiene all’anno 2010 con 13,5° di alcool svolto: il colore è intrigante: un giallo paglierino intenso con riflessi dorati, brillante, e poco scorrevole alla roteazione… secondo me siamo davanti ad una grande espressione di pigato. Al naso la conferma: note di camomilla, albicocca, nocciola, evidenti tracce idrocarburiche e uno iodato che è percepibile nettamente al naso. In bocca è caldo, morbido, avvolgente, mieloso ma secco, ancora sapido e fresco, molto persistente con una leggera nota vanigliata; molto equilibrato tra le sue componenti, vino appagante al palato, invitante ad una beva ripetuta. Per me un grande vino, molto varietale, con i tratti intrinseci del Pigato.
Il quinto vino in degustazione è un 2009 di 13,5°: Giallo dorato, luminoso e denso alla roteazione. Al naso erbaceo, mieloso, ricordi di caramella d’orzo e anice. In bocca risulta caldo, morbido, ma un po’ “cotto”, leggermente sapido e fresco.
Penultimo vino della serata, anno 2005 e 12,5°: Colore paglierino carico, quasi dorato, brillante, leggermente denso. il naso è straordinariamente elegante, suadente, complesso una gamma di aromi che vanno dalla macchia mediterranea, alle erbe officinali un’albicocca matura, con ricordi di crema pasticciera, nocciole tostate e una nota di pietra focaia. In bocca, essendo sorretto ancora da una buona acidità non si percepisce l’alcol (è anche il più basso in % tra tutti i vini degustati), è estremamente fine, elegante avvolgente, cremoso, sapido, sorretto come dicevo prima da un’acidità importante, minerale, quasi gessoso, lungo, persistente. Vino spettacolare, anche se richiama meno la varietalità del pigato per andare oltre confine e essere paragonato ad un grande vino francese. Massima espressione per comprendere le potenzialità di invecchiamento di questo vitigno.
Settimo ed ultimo vino, annata 2004, 13°: giallo dorato con riflessi ambrati, denso, leggermente velato. Il naso è complesso nei suoi aromi ma prevale un’ossidazione percepita molto in bocca. Certamente il tappo diverso non ha aiutato la conservazione di questo vino, visto anche il risultato della precedente annata.
Per concludere, un sentito ringraziamento a Massimo per le forti emozioni che mi ha fatto vivere assaporando uno dei miei vini preferiti (senza cadere in partigianeria), sapientemente lavorato con un enorme rispetto del territorio e un’esaltazione della propria tipicità !
Alla fine della verticale, conviviale e decisamente ben riuscita, Massimo Lupi anticipa la prossima, coraggiosa, scelta della cantina Casa Lupi: “Abbiamo deciso di non produrre più i vini base, ma di uscire solo con i nostri cru: il Braje, il Petraie il Serre e, naturalmente. Il Vignamare, vini che partono da un affinamento minimo di dieci mesi”.
Al termine la cena, dove la cucina di Alta Marea ha coronato al meglio una degustazione importante. Ottima la tartare di tonne con Chinotto di Savona caramellato, così come il polpo con il crostino di polenta e la fonduta con tartufo. Di livello i tagliolini al nero di seppia con gamberi, pomodorini e carciofi d’Albenga, per concludersi con uno zabaione che, a me, ha ricordato la nonna…(per la cronaca, il menù fuori dal locale parla di antipasto da 5 portate a 14 euro, primi tra i 13 e i 16 euro, secondo da 13 a 18 euro, non molto viste le porzioni, il servizio, il locale e la vista tramonto…)