Si preferisca chiamarli corzetti, crozetti o croxetti, parliamo di lasagnette tonde con un decoro impresso sulla superficie. La loro origine è molto antica e probabilmente deriva dai croset diffusi almeno otto secoli fa fra la Liguria, il Piemonte occidentale e la Provenza. La forma originale era identica alle attuali orecchiette e, secondo Giovanni Rebora, questo formato di pasta fu introdotto nel Sud-Italia nel XIII secolo, durante la dominazione angioina. I croset erano fatti a mano con acqua e farina e sagomati a forma di piccola conchiglia. Fra il XVI e il XVII secolo dovevano essere ancora molto diffusi sia nella forma classica, sia come lasagnette tondeggianti ottenute schiacciando dei piccoli cilindri di pasta. Nel 1618, Guglielmino Prato, speziale astigiano che conosceva bene la tradizione gastronomica ligure, racconta la “metamorfosi” dei croset spiegando che normalmente si fanno comprimendo col fondo di un bicchiere dei morselletti di pasta, ma, se vorrai far cosa galante, poni una moneta d’un soldo fra pasta e bicchiere, e sovra d’essa percuoti a cagione ch’essa moneta lassi alla pasta l’impressione sua [Gianluigi Bera, Il Clypeo del Gentilhuomo, Asti 1996]. Prato aggiunge che se ne ricaveranno dei tondi in guisa di monete da condire come i maccheroni, quindi potremmo ipotizzare che lo scopo fosse anche beneaugurale, poiché ogni commensale si sarebbe ritrovato nel piatto una certa quantità di pasta simile a tante monete.
Dobbiamo comunque considerare che, a parte la versione originale dei croset, peraltro tutt’oggi prodotti in alcune valli cuneesi, a Genova si facevano anche i cosiddetti corzetti polceveraschi, specialità di pasta fresca a forma di otto (8) tipica della val Polcevera, comprensorio a ponente della città. Per queste ragioni, è piuttosto semplice dedurre che ritrovando la parola corzetti in molti documenti d’archivio, diventa difficile comprendere di quale versione si tratta.
Tornando ai nostri dischetti decorati, un’altra fonte antica, risalente al 1794, richiama l’utilizzo del classico stampo di legno specificando che se ne ricavano lasagne decorate ottenute da una sfoglia tagliata con una forma di legno rotonda e un rilievo esprimente un ornato, le vostr’arme eccetera; non si chiameranno più lasagne, ma crosetti.
A questa definizione, che riporta al metodo di produzione tradizionale, è collegato un dettaglio interessante riguardante i negozi, nei quali i crosetti si fanno con altri ordigni. I pastai professionisti, a Genova definiti fidelari almeno fino a tutto il Settecento – in seguito vermicellai –, li avrebbero preparati adottando un procedimento diverso, probabilmente per facilitare la produzione di quantità più rilevanti da destinare al commercio. E se in concreto questa fonte non rivela la natura di quegli altri ordigni ai quali fa riferimento, certifica che i crosetti stampati erano sia un prodotto casalingo, sia artigianale. Ho citato i fidelari, produttori di pasta secca, poiché a loro spettava il diritto di fabbricare i corzetti, come riportato nei capitoli dell’Arte che li riguardava. Peraltro, nel 1763 i Consoli dell’Arte dei Revendaroli da frutti si rivolgono alle autorità della Repubblica chiedendo non sia prerogativa esclusiva dei Fidelari il poter vendere i corzetti. Specificato trattarsi di pasta fatta con grano duro e grano tenero, le Autorità sentenziano essere consentito solo ai Fidelari produrre e commercializzare i corzetti poiché contengono, almeno in parte, il grano duro. Ai Revendaroli è proibito vendere pasta di grano duro se non quella importata da Cagliari.
Del 1840 un’altra citazione dei crosetti è offerta da Goffredo Casalis (1781-1856), sacerdote piemontese che nell’arco di vent’anni (dal 1833 al 1856) compilò il suo monumentale Dizionario Storico-Statistico-Commerciale di s.m. il re di Sardegna. Fra le specialità genovesi annovera anche i crosetti: sono la pasta medesima delle lasagne, se non che con una stampatella ritonda e rabescata quasi in forma di croce, si tagliano circolarmente.
E siamo giunti al tempo delle due Cuciniere genovesi (pubblicate nel 1863 e nel 1865) nelle quali è chiara la distinzione fra corzetti alla polceverasca, definiti anche tiæ co-e die, cioè tirati con le dita, e corzetti stampati, specie di lasagne tonde su cui in una parte è impresso un rabesco mediante una stampa di forma rotonda. Identico anche il consiglio riguardo il condimento con sugo di manzo o di vitello, trattandoli esattamente come le lasagne, cioè usando condirli a strati sovrapposti.
Nel corso del tempo il desiderio di personalizzare il proprio stampo e l’abilità degli artigiani intagliatori hanno consentito di riportare su legno innumerevoli “rabeschi”, stemmi e forme geometriche rendendo unici molti di questi marchi, spesso eletti a oggetti da collezione. E tutt’oggi la produzione artigianale degli stampi per fare i crosetti rimane viva soprattutto nella Liguria di Levante, dove, peraltro, è altrettanto diffusa la tradizionale produzione casalinga di questa pasta. Il grande impulso alla conoscenza e alla diffusione di crosetti e croxetti lo ha dato il prodotto essiccato, ormai presente sugli scaffali dei negozi specializzati di mezzo mondo.
Volendo preparare a casa i propri corzetti stampati si deve tener conto, come sempre, che le ricette variano da una località a un’altra. Per non far torto a nessuno, mi permetto di suggerire le indicazioni delle Cuciniere antiche, secondo le quali occorre buona farina, uova (uno ogni 300 grammi di farina), acqua tiepida e sale; ovviamente bisogna avere l’apposito stampo.
Preparato l’impasto morbido e omogeneo, si lascia riposare qualche minuto per poi stendere una sfoglia piuttosto sottile. Lo stampo di legno è composto di due parti, una tagliente, per ricavare i dischetti, e una decorata, per imprimere ciascun corzetto. Basterà fare le due operazioni in successione per trasformare ogni cerchietto di pasta in un corzetto decorato. E se il condimento suggerito dalle Cuciniere è il sugo di carne, molto più diffuso è l’impiego di una salsa a base di pinoli, maggiorana e aglio.
Nelle terre che furono liguri, oggi appartenenti al Piemonte, in particolare nella zona di Novi Ligure, Pasturana, Gavi e dintorni, la tradizione dei corzetti si è tuttora mantenuta seppur con piccole differenze. Gli stampi tradizionali, fatti sempre di legno ma con una sorta di ghiera tagliente (in ottone) tutt’attorno, hanno un diametro leggermente inferiore a quelli liguri e il condimento tradizionale è un sugo di carne e funghi o una salsa a base di porri e pinoli.
L’interesse per questa pasta del tutto singolare e l’idea di valorizzarla e rilanciarla, sono alla base di un progetto di studio al quale stanno lavorando tre studenti del corso di laurea in Architettura e Design della Facoltà di Architettura dell’Università di Genova. Partendo dagli stampi tradizionali in legno, Marco Biagioni, Simone De Paoli e Sonny Fasolino, stanno elaborando un nuovo design che ne attualizzi le forme e i materiali per proporli al mercato globale. Una bella sfida che parte dal rispetto della tradizione traguardando il futuro.
I Croxetti in versione secca
Atteso che i croxetti nascono come pasta fresca, non avrebbero avuto la notorietà odierna se non si fosse realizzata la versione secca. Il pastificio artigianale Alta Valle Scrivia ha creato la linea d’eccellenza “Pasta di Liguria”, prodotta con grani italiani certificati biologici. Fra i vari formati tradizionali ha voluto inserire proprio i Croxetti: un bell’esempio di un’azienda che opera nell’entroterra ligure e con la pasta esporta la cultura gastronomica locale.
Sergio Rossi
Ottima rivista ligure ed interessante articolo. Anch’io ho qualche antico stampo.