Ponente e Levante di Liguria e una cultivar di olivo simile. Da un lato Taggiasca, a Ponente, dall’altro Lavagnina a Levante. Un comune denominatore immediato. Devono il loro nome ad una località, rispettivamente Taggia e Lavagna. Due centri agricoli storici che hanno irradiato cultura olivicola al territorio circostante e hanno dato nome a celebri cultivar legate in modo forte al territorio ligure, occidentale ed orientale. Per lungo tempo si è pensato all’azione decisiva di ambiti monastici per la collocazione degli olivi in Liguria orientale. In particolare era indicato come centro diffusivo l’abbazia di San Colombano di Bobbio. Sono rilevanti a proposito gli studi del professor Carlo Moggia, basati su inoppugnabili fonti documentarie. La coltivazione dell’olivo si attesta sin dalla fine del X secolo e dall’inizio dell’XI, soprattutto nel Chiavarese (Maxena, Leivi, Sanguineto), a Lavagna (Graveglia), nel Sestrese (Libiola), a Sori. Ci si trova dunque nel Tigullio, un territorio che dal Golfo Paradiso e la val Bisagno a ovest, la val Trebbia e la val d’Aveto a nord, la val di Vara e le meravigliose e silenti baie del Levante a est comprende Portofino, Santa Margherita Ligure, Rapallo, Zoagli, Chiavari, Lavagna e Sestri Levante sul mare. La prima diffusione olivicola nel Genovesato è legata sì a proprietà ecclesiastiche, non solo monastiche, mentre nel Tigullio occidentale (Rapallo, Recco, Camogli, Portofino) l’impianto è più tardo. Rispetto a 800 anni fa non c’è riferimento alla grande proprietà monastica, a parte quanto potesse appartenere a San Fruttuoso di Capodimonte. Il fatto che la diffusione dell’olivo sia così diversificata, anche come tempi di collocazione, nega a priori un’opera diffusa da parte esterna, vuoi dai monaci di San Colombano, che pure apprezzavano l’olivo, o piuttosto da parte dei Crociati. Di fatto il Moggia nota che nel XIII secolo c’è la spinta maggiore ad intraprendere l’olivicoltura. Si esaminano 200 atti notarili relativi al Tigullio nel periodo: le terre olivate sono 37% circa del totale (contro il 25% della vite). La concentrazione maggiore è per le aree costiere, mentre nell’interno la penetrazione è difficile, considerando peraltro le condizioni climatiche ben più rigide rispetto ad oggi, soprattutto dal 1350 circa in avanti. È in questa fase che, verosimilmente, si delinea la selezione della cultivar. Lavagna, per posizione e possibilità operative nella fertile valle Entella, può aver avuto un ruolo chiave. Del resto l’olivo Lavagnina è considerato la “cugina di Levante della Taggiasca”. Probabilmente ci si trova di fronte ad un “ecotipo” ovvero ad un albero che trova proprio nel Tigullio la sua zona di elezione, assumendo caratteristiche distintive. Una coltura di grande valore economico, dunque, che si radica fortemente nel contesto economico locale: serve sul posto o è merce di scambio, senza dimenticare l’importanza religiosa: almeno una lampada al Santissimo Sacramento e i sacramenti del Battesimo o dell’Estrema Unzione necessitano di olio, dunque per le storiche chiese pievi del Levante ligure e per tutte le parrocchie sorte di secolo in secolo. Soltanto nel Cinquecento la piazza di Genova richiederà anche a Levante notevoli quantità di olio, doppiando l’importazione da Ponente e favorendo un’espansione della coltura fino al XIX secolo, con prezzi vantaggiosi. Nel frattempo è chiaro che una produzione di qualità e di alto livello passa sempre di più da un contesto di proprietà importanti ai piccoli e medi coltivatori. L’olio del Levante è dunque un bene a larga diffusione sociale. Per quanto riguarda la fase cruciale del XVI secolo, attorno al 1530, una “caratata”, indagine catastale-fiscale genovese, indicava nel Levante ligure una produzione olearia in surplus rispetto ai fabbisogni locali nelle podesterie o comunque nei siti amministrativi di Recco, Rapallo, Chiavari e Castiglione. La selezione della Lavagnina doveva essere già avvenuta, perché si parla di una cultivar produttiva. A fine Settecento-inizio Ottocento saranno figure come il pomologo Giorgio Gallesio a riconoscere una nomenclatura ed associare le cultivar. Gallesio, con la sua Pomona Italiana (1817-1839), parla di Olea sativa italica, ovvero Ulivo Gentile. Correggiolo, Frantoio, Razza, Tagliasca, Lavagnina, Lucchese, Olivier de Grasse, Olivier pleureur. Gallesio incalza: “La Lavagnina è un’oliva che si tiene per privilegiata anche nella Liguria Orientale, e se l’olio che produce in quel littorale non gode la riputazione di quelli di Nizza e di Diano ciò si deve attribuire al modo difettoso di estrarlo piuttosto che al terreno o alla varietà”. Così anche l’abate Gian Maria Picconi, autore dei Saggi sull’economia olearia, pubblicati nel 1808, nota che la Giuggiolina detta volgarmente taggiasca, celebre da Ventimiglia fino alla valle d’Andora diventa lavagnina da Genova a Moneglia. Molti anni più tardi, l’analisi di Carlo Carocci Buzi ne “Le varietà di olivo coltivate in Liguria”, pubblicato nel 1950, individua in provincia di Genova la preminente presenza della Lavagnina al 60% del totale, seguita (e lo si elenca per curiosità, anche da Pinola, Rossese, Mortina, Negrera, Olivastrone, Ottobrina e Spagnola, le ultime con percentuali modestissime). Sempre il Carocci Buzi avvicina in modo deciso Lavagnina a Taggiasca. Oggi le schede preparate dalla Regione Liguria in “Le varíetà di olivo liguri. Caratterizzazione morfologica, fisiologíca, climatica e genetica delle principali varietà e produzioni olivicole della Liguria” ci parlano di una pianta con caratteri simili alla Taggiasca, per invaiatura precoce e graduale e tipologia del frutto, considerando anche la propensione ad essere utilizzata come oliva da mensa. Piccola e gustosa. Interessante anche l’elenco di sinonimi: Giuggiolina a Genova; Olivo di Lavagna a Lavagna; Rapuina a Chiavari, Pegli e Voltri; Taggiasca piccola a Lavagna. Non si può però negare l’unicità della Lavagnina in rapporto al suo territorio di elezione. Anche e soprattutto per l’amore che chi la coltiva dedica agli alberi, così come allo studio di quanto è tipico e territoriale nell’agricoltura del Tigullio, come ha fatto Paolo Passano con il suo libro “Memorie di futuro”. E per quel fruttato che dona, per quella punta leggermente piccante e con intonazioni di pinolo e carciofo e comunque la dolcezza che rende riconoscibile l’olio ligure. Lavagnina vuol dire caposaldo nella composizione dell’olio extravergine di Oliva DOP Riviera Ligure-Riviera di Levante, dato che il disciplinare di produzione le assegna un valore preminente assieme a Razzola e Pignola. Almeno il 65% della composizione è per queste cultivar, che si possono comunque presentare anche come olio monocultivar. Riconoscibile, distintivo, equilibrato e identitario.
UN RECUPERO INTELLIGENTE
Il Panificio e Pasticceria Barbieri, uno dei forni storici di Chiavari, sta realizzando un interessante progetto per la valorizzazione del territorio. Oltre ad essere uno dei protagonisti del rilancio della Nocciola Ligure Misto Chiavari la famiglia Barbieri ha rilevato un antico oliveto che verrà destinato alla produzione di olio da utilizzare nella sua gastronomia garantendo così la qualità e l’origine delle materie prime. Nel progetto è coinvolta anche la Cooperativa Agricola Rurale di Isola di Borgonovo che si occuperà della cura e della produzione dell’olio. La prima frangitura è prevista nel 2019.
LA COOPERATIVA
La Cooperativa Agricola Rurale di Isola di Borgonovo, nel comune di Mezzanego, è stata costituita il 27 Luglio 2005 con l’obiettivo principale di valorizzare i prodotti del territorio, in particolare occupandosi della produzione di olio extravergine di oliva di prima qualità. La realtà cooperativa o di aggregazione fra agricoltori è una dimensione molto legata all’olivicoltura ed alla gestione del territorio del Levante ligure. Isola di Borgonovo non fa eccezione, ma la sua operatività è lungimirante, in quanto recupera una dimensione tradizionale e territoriale. Peraltro Mezzanego, in valle Sturla, è parte di quel territorio rurale genovese che però guarda verso il Tigullio e ha vissuto la sua vicenda storica all’ombra della signoria dei Fieschi di Lavagna. Tra le varie tipologie di oli prodotti, si trova l’olio evo della Riviera del Levante con certificazione D.O.P., estratto da olive raccolte in uliveti gestiti dalla Cooperativa e conferite dai soci, è composto principalmente da olive coltivar Lavagnina, cugina della taggiasca del Ponente. In tal senso spicca l’iniziativa sociale di legare la produzione olivata alla suggestione emotiva della possibilità, per i clienti, di “adottare un olivo” nei terreni recuperati. Clienti, ma sarebbe meglio dire “amici”, perché il rapporto tra uomo e territorio è quello che più coinvolge l’operato della Cooperativa. E in questo contesto rientra anche chi visita, collabora, acquista, apprezza. L’olio DOP Riviera Ligure-Riviera di Levante è sicuramente un importante traguardo raggiunto da questa piccola Cooperativa che negli ultimi anni è sempre più attiva sul territorio anche per il recupero di noccioleti e la produzione di prodotti unici con materie prime nostrane per permettere di ritrovare e conoscere gusti e profumi incredibili.
Alessandro Giacobbe