C’è ancora chi mostra stupore quando, trovandosi in un locale ligure, si sente proporre un fritto misto di terra… Meraviglia che continua alla vista di un piatto sontuoso, ricco di prelibatezze anche un po’ inconsuete, dal latte brusco alle foglie di borragine. Una così straordinaria varietà di vegetali, carni, polpette e creme fritte, nel tempo è andata un po’ assottigliandosi e oggi alcune specialità sono meno frequenti nelle proposte dei ristoranti. Le ostie fritte, per esempio, sono quasi sparite dal vassoio misto senza una ragione spiegabile. Sono un boccone particolarmente succulento e offrono una duttilità di interpretazione straordinaria, poiché ciascuno può farle come crede senza alcun timore di commettere un sacrilegio o tradire i dettami della cucina tradizionale ligure. Per la verità una ricetta storica di riferimento c’è e compare sulle Cuciniere ottocentesche. Ovviamente va contestualizzata e capita, perché leggendo gli ingredienti si potrebbe rimanere colpiti dall’eccessiva ricchezza.
Chi conosce un minimo la cucina tradizionale dei ricettari ottocenteschi, sa che si trattava di piatti della festa, ricchi di tutto ciò che la gente comune spesso poteva solo sognare o forse gustare in occasione di festività importanti o ricorrenze straordinarie. La ricetta proposta da G.B. Ratto nella sua Cuciniera genovese facile ed economica è piuttosto impegnativa. Si basa su un soffritto al burro con cipolla e prezzemolo nel quale saltare un insieme di carni e frattaglie bovine; unici “intrusi” vegetali, pochi carciofi e altrettanti piselli: i primi mescolati al trito di carni soffritte, i secondi aggiunti, apparentemente a crudo, prima della frittura. Una grattatina di tartufo completa il ripieno assieme a qualche tuorlo d’uovo per legare l’insieme. L’ostia bagnata assolve la funzione di pasta o contenitore entro cui racchiudere la farcia. Queste specie di panzerotti vengono poi impanati e fritti. Indipendentemente dagli ingredienti e dal procedimento, è un peccato che questa specialità oggi non sia compresa nel fritto misto di terra. Peraltro, per chi preferisce evitare le carni, La cucina di strettissimo magro, ricettario storico dedicato al cibo concesso nei giorni di astinenza prescritti dalla religione cattolica, offre una versione alternativa alla “grassa” altrettanto promettente, basata su un sughetto di verdure ed erbe aromatiche da unire a un battuto di polpa di merluzzo, pinoli, mandorle, mollica di pane e tartufi. Il tutto sempre racchiuso in un’ostia e poi fritto.
La negia, come si chiamava un tempo, ha il grande pregio di poter avvolgere qualunque ripieno senza alterarne il sapore e contribuendo a formare una crosticina croccante in superficie. Volendo si può anche utilizzarla per preparare gli stecchi fritti alla genovese, semplificandosi la vita e concedendosi la libertà di scegliere la consistenza del ripieno che più si preferisce. Anche gli stecchi sono quasi spariti dal fritto misto. In passato erano assai apprezzati e popolari, tanto da comparire sia nei ricettari storici, sia nei libri dei conti di alcune famiglie nobili genovesi fra il XVIII e il XIX secolo.
Nessuno pretende di tornare agli stecchi colorati con lo zafferano, ne alle ostie fatte in casa con i ferri arroventati sul fuoco vivo, ma recuperare certe specialità secondo canoni e scelte attualizzate, credo sia una buona operazione culturale. E non solo per l’intelletto.
Sergio Rossi