di Umberto Curti
L’acciuga che Linneo classificò Engraulis encrasicolus (tendenzialmente alice al Centro-Sud) si distingue bene dalla sardina, più tozza e con diversa, protrusa mascella.
Pesce mediterraneo e atlantico, un “pane del mare” proteico, con la sola controindicazione delle purine, composti nocivi all’uricemia, vive in branchi affollati e “migra” – facendo il pallone… – dinanzi alle coste liguri da primavera a autunno (calando in inverno a maggior profondità), gli esemplari d’interesse non superano i 20 cm, ed ormai si attestano fra 12-15 cm al massimo… Circa 65 esemplari per chilo, dato che troppo piccoli in salagione si sfalderebbero.
Le femmine maturano ovociti 30-40 volte ogni stagione, deponendo nel corso della vita – di notte – un totale di centinaia di migliaia di uova, che causano il rilascio di sperma dei maschi vicini, ma soltanto il 2-3% degli ovociti sopravvive.
In genere, e non da oggi, l’acciuga si inscatola sott’olio o si sala o se ne ricava una pasta cremosa in tubetti (compagna di pizze e tartine), in quanto l’acciuga poco fresca odora rapidamente di rancido, per l’ossidazione degli acidi grassi insaturi. Dall’elenco ministeriale sono in Italia varietà autoctone e/o tradizionali l’acciuga di Monterosso, pescata di notte con lampara e circuizione * , e l’alice di menaica (costiera salernitana), pescata con una speciale rete artigianale a maglie, detta appunto menaica. Le acciughe adriatiche sono più grasse delle tirreniche grazie al plancton e dunque risulta preferibile consumarle fresche anziché in conserva. In generale, tuttavia, l’inquinamento e depauperamento dei mari, e acque sempre più calde, ostacolano le sorti di questi pesci che – ove non catturati – sarebbero “longevi”, e che viceversa purtroppo muoiono, sul fondo del mare, sempre più giovani, senza raggiunger l’anno di vita (si evince dagli otoliti calcarei dentro l’orecchio), non di rado uccisi da microplastiche.
Come noto, l’acciuga, che talora nei cesti dei “passeurs” sulle vie del commercio e della fede copriva il sale per eludere i gabellieri (sale da sopra a sotto…), lega, saporitamente, le cucine ligure-provenzale e piemontese-occitana. Di qui (se ne avvalse già Giobatta Ratto) acciughe all’ammiraglia, ripiene, fritte, bagnùn di Riva Trigoso con la galletta, tegame di Vernazza, machetto al mortaio (tra garum apiciano e colatura di Cetara) e un rito della salagione che trova echi siculi ne “I Malavoglia” di Verga… Di là – porti e grossisti permettendo – acciughe al verde, in rosso, col burro di malga, con peperoni, “indigeribile” bagna caöda (se le nonne ancora ne cucinano in vendemmia), vitel tonné, persino un ecomuseo degli acciugai (gli anciué dal carretto azzurro), beninteso in…montagna, a Celle di Macra, Val Maira, sede anche della Confraternita. La loro festa si celebra a giugno. “Storie che s’intrecciano, antiche, vecchie, nuove; pescatori, donne, finanzieri, contrabbandieri di sale, acciugai… in tutto il libro si sente il profumo dell’aglio rosa, del salso del mare, delle valli nascoste e della Olga, la rossa di capelli che passa nelle pagine come una cometa”. Così, Rigoni Stern tratteggiava “Il salto dell’acciuga” di Nico Orengo, 1997 (ed. Einaudi), un torinese che adorò Villa Hanbury. Ma a Sanremo stessa, ce ne parla Pio Carli autore d’un dizionario dialettale, si aggiravano col carrettino vari ambulanti detti anciué.
In Liguria le acciughe sotto sale possono beneficiare della certificazione europea IGP, la quale – in estrema sintesi – implica una lavorazione del pescato entro poche ora dalla cattura, un adeguato spurgo ematico, una toelettatura manuale ed infine una stagionatura in barili o terrecotte di almeno 40 giorni, che le renda “mature” al commercio per aspetto, consistenza, colore, finezza di sapore. I locali di affinamento debbono garantire temperature costanti anche in base alla salamoia, che via via si “rabbocca” mantenendo costanti sia il livello sia la concentrazione. Nelle “mitiche” arbanelle cilindriche in vetro trasparente si stipano acciughe per un peso netto dai 2 etti ai 3 chili, intervallate strato per strato da sale marino di media grammatura, e sull’ultimo si sovrappone un peso (in casa era d’ardesia). Il confezionamento finale sigilla poi il prodotto, anzitutto onde prevenire contaminazioni, e la scadenza s’intende successiva di 24 mesi a tale data. Di recente, il MIPAAF ha recepito alcune modifiche al rigoroso disciplinare IGP richieste da un produttore, fra cui per la sicurezza del consumatore l’introduzione di contenitori da salagione di acciaio e plastica alimentare, che si affianchino alla ceramica vetrificata, di difficile reperimento, e una miglior definizione dei territori di lavorazione.
Le acciughe propongono infiniti sinonimi: aliccia, alice, amplova, anchioda (B. Paschetti, Del conservare la sanità e del vivere de’ Genovesi, Genova, 1602), ancia, anciova, anciovitta, lice, lilla, magnana, masculinu, sardela, sardòn, speronara ** …
E presenziano ovviamente infiniti ricettari, italiani e no. In Emilia una salsa verde “rustica” (acciughe, prezzemolo, mollica nell’aceto, aglio, olio) accompagna il bollito. In Toscana le acciughe sotto pesto sono uno starter a base di acciughe dissalate e diliscate quindi ricoperte da un pesto di prezzemolo (non basilico), aglio e pepe. A Roma la cucina ebraica le unisce all’indivia riccia. In Campania le ammollicate s’arricchiscono d’un composto a base di pan grattato. In Calabria, dove (soprattutto Gioiosa Jonica e Diamante) s’aggiunge tradizionalmente peperoncino, e le piccole produzioni si commercializzano in terrecotte chiamate cugnitti, le “braciolette” sono alici farcite e fritte. In Sicilia trionfano la pasta c’anciova – che arricchisce la più “povera” pasta ca muddica (mollica) – e la pasta che masculini. Ad Aci Trezza (CT), condite con olio, aceto e pepe in accompagnamento a pane di grano duro e vino forte, sono il simbolo della festa della Vergine, ultima domenica d’agosto, a propiziare inverni miti *** .
Come evidente, in definitiva, le acciughe amano (in Liguria e altrove) cotture brevi e – invariabilmente – la compagnia di olio d’oliva, vino bianco, erbe aromatiche, in primis l’origano. Non infrequente anche il connubio con le frutta secche, nocciole, o mandorle.
- * a Monterosso i barili di pesci salati si stivavano in cantine dette caneva (la parola cantina diviene ciàneva in Cadore). Suggestive anche le battute di pesca ponentine descritte da Don Luigi Ricca da Civezza in Viaggio da Genova a Nizza (1871)
- ** sono “sperone” le grosse acciughe che vivono più in profondità, condividendo un habitat da scampi
- *** a Siracusa, in particolare, s’incontrano le “anciova cruri e cotti alla manera di Ortigia”, dove pescatori cristiani indigenti le consumavano semplicemente desquamate, sfilettate e marinate 12 ore nel limone. Olio, pepe, aglio e prezzemolo (se c’erano) completavano la ricetta, senza alcuna cottura. Gli ebrei locali, invece, più abbienti, le gratinavano
I PRODUTTORI
SICCARDI GIOBATTA
La ditta Siccardi opera da quasi un secolo nello splendido borgo di Varigotti, una delle località turistiche più rappresentative del ponente ligure. Punti di forza dell’azienda sono la qualità della materia prima e la passione per questo lavoro, tramandato senza soluzione di continuità di generazione in generazione. Le lavorazioni tradizionali del pesce azzurrro come la salatura delle acciughe, la bollitura del novellame e la marinatura di bughe, zerri e lussetti fritti e poi messi in carpione sono effettuate nel rispetto della tradizione, seppur con l’utilizzo delle innovazioni tecnologiche che si sono succedute nel corso degli anni. L’introduzione del prodotto congelato, avvenuto negli anni ’80 del secolo scorso, ha portato a nuove linee di lavorazione e alla produzione di nuovi prodotti conservati, per venire incontro alle nuove esigenze della clientela. Prodotti di punta sono le Acciughe sotto sale, l’antipasto di mare, le alici marinate e l’insalata di mare, tutti acquistabili direttamente presso la sede della ditta a Varigotti in via degli Ulivi 83. Tel 019 698296
MARE MOSSO
Un’azienda giovane (1999 l’anno di fondazione) ma che in breve tempo ha saputo conquistare una posizione di rilievo nel panorama ligure della pesca e lavorazione del pescato, con una flotta di pescherecci in grado di soddisfare le esigenze dei principali mercati ittici liguri, e al contempo rifornire la grande distribuzione organizzata e le pescherie di quartiere, oltre a disporre di sei punti di vendita diretta nelle province di Genova e Savona. L’azienda oltre alla pesca si occupa della trasformazione diretta del pescato, con una nutrita linea di prodotti che spazia dai marinati (filetti di orata e branzino in primis) ai surgelati, fino ad arrivare al prodotto di punta, l’Acciuga del Mar Ligure, che Mare Mosso srl lavora e confeziona seguendo scrupolosamente il disciplinare I.G.P., unica in Liguria. Il pescato è tutto rigorosamente ligure, nel segno di un radicamento con il territorio che mira alla valorizzazione del pescato “nostrano”.
COOPERATIVA MARE ALASSIO
La cooperativa Mare di Alassio dispone di un moderno motopeschereccio, il Don Carlo, ormeggiato nel porto di Alassio, che svolge attività di pesca e, soprattutto durante il periodo estivo, offre ai turisti l’esperienza della pescaturismo e la possibilità di pernottare a bordo delle due comode cabine. La pesca delle Acciughe liguri è una delle principali attività della cooperativa; il peschereccio dispone di un’apposita cella per il trattamento e la salagione delle acciughe, che vengono poi vendute in occasione delle principali manifestazioni enogastronomiche liguri a cui la cooperativa partecipa o spedite direttamente a chiunque voglia acquistarle online sul sito www.pescaturismoitalia.it. Per ogni info il numero di riferimento è il 3334225247