di Sergio Rossi
Da bambino passavo le estati in un paesino dell’entroterra genovese giocando da mattina a sera con gli amichetti fra il torrente, i prati e il piazzale della chiesa. Quando, accaldati, cercavamo una bibita fresca, spesso bevevamo lo sciroppo di rose. La mamma di un nostro compagno di giochi lo preparava con l’acqua della fontanella e in ogni bicchiere metteva una cannuccia di paglia che strappava dal tetto di un casottino posto di fronte alla sua abitazione. Non sto parlando di una stranezza “esotica” ma di ciò che una cinquantina di anni addietro era la normalità. D’inverno lo stesso sciroppo si mescolava con l’acqua calda, come sanno bene tutti coloro che giocavano a calcio. Durante l’intervallo fra il primo e il secondo tempo, al rientro negli spogliatoi, ci davano un bicchiere di sciroppo di rose bollente per confortarci: forse doveva servire a recuperare un po’ di calore da spendere al rientro in campo, oppure era solo una buona bibita calda che lì per lì faceva piacere.
Una ventina d’anni fa lo sciroppo di rose viveva confinato nelle case dei genovesi e in due negozi storici della città: l’Antica Farmacia di Sant’Anna e la confetteria Pietro Romanengo fu Stefano. Chi non lo produceva in casa poteva comprarlo in questi due esercizi, testimoni attivi di una tradizione secolare sopravvissuta forse solo nel genovesato. I prodotti a base di rose hanno una storia talmente profonda da perdersi nel tempo. Si dice che i Romani usassero le rose per diverse ricette anche alimentari e di certo nel Medioevo era diffusa la preparazione del miele rosato, dell’acqua di rose, dello sciroppo ecc.
In generale l’impiego di questi prodotti si divideva fra la farmacopea e l’alimentazione con prevalenza della prima. All’acqua di rose, per esempio, venivano attribuite proprietà protettive contro la peste, tanto che si suggeriva di appendere alle pareti dei lazzaretti lenzuoli inzuppati in aceto, & acqua di rosa, e distesi per le mura, e per i palchi, e qualche volta circa il letto [Michele Mercati; Instruttione sopra la peste – Roma 1576], oltre a raccomandare ai congiunti degli ammalati di portare con sé sacchetti di stoffa pieni di spezie e intrisi di acqua di rose per proteggersi dall’aria “corrotta”. Ma la stessa acqua di rose era anche considerata purificatrice. Rimane memorabile la storia della riconquista di Gerusalemme da parte di Saladino, nel 1187. Secondo la leggenda, il condottiero curdo, sultano d’Egitto e di Siria, scacciati i crociati fece giungere in loco cinquecento cammelli carichi di acqua di rose per purificare la città. Tre secoli più tardi, per le vie di Genova una folla festante accoglie Ibleto Fieschi al rientro in città per guidare la rivolta contro gli Sforza: era la calca sì grande che portavano in aria lui e il cavallo. Passando per una contrada che si chiama “lo Priono” gli era dato l’asperges dai balconi con acqua di rosa moscariata. Non è lingua che possa esprimere li trionfi e onori fatti a mons. Ibleto. [Genova, 19 marzo 1477. Bertone de Meniglioti (A.S. di Milano Sforzesco 968) documento segnalato da Italo Cammarata]
Nella cucina medievale e rinascimentale l’acqua di rose entra in tante preparazioni, dalle più semplici come la ricotta con lo zucchero, fino a molte salse e alla rifinitura di piatti diversi a base di carne, pasta e verdura. Durante i banchetti, accanto alle tavole imbandite, vengono sistemati capienti bacili contenenti acqua di rose per sciacquarsi le mani prima e dopo il pasto. Nel Seicento Genova vanta una sorta di primato nella preparazione di prodotti a base di rose soprattutto all’interno dei monasteri: le confetture e le conferve in zuccaro sono le più eccellenti che s’acconcino in alcun’altra parte del Mondo; ed eccellentissime n’escono quelle di molti Monasteri di Monache, così li zuccari rosati, l’agro di Cedro, e altri medicinali. [Gio Domenico Peri, Il Negotiante – Venezia, 1662].
Col passare del tempo il sapere legato alle rose convoglierà in parte nell’arte della confetteria e a quelle che erano considerate preparazioni medicinali si affiancheranno altri prodotti sfiziosi che rientreranno fra le squisitezze dolciarie. Dalla fine del Settecento la famiglia Romanengo rappresenta la confetteria genovese e i suoi prodotti a base di rosa rimangono oggi il simbolo assoluto dell’arte confettiera di casa nostra. Lo sciroppo di rose, lo zucchero rosato, le gocce, le pastiglie, i cioccolatini, i fondant e i petali di rose canditi sono prodotti unici figli di una tradizione secolare.
Da qualche anno lo sciroppo di rose è entrato a far parte dei cosiddetti Presidi Slow Food, cioè di quei prodotti alimentari – ma anche razze animali o varietà ortofrutticole – che la nota associazione gastronomica promuove, tutela e protegge dal rischio di estinzione. Partendo da alcuni produttori di petali dell’Alta Valle Scrivia e dalle poche piante di rose che ciascuno di essi conservava, anche con l’aiuto del Parco dell’Antola, si riuscì a riprodurre nuove piantine di rose e rilanciare così la produzione di petali allargando anche la ripresa allo sciroppo di rose. Oggi queste piccole aziende agricole hanno ampliato la produzione di petali fornendoli ai trasformatori e producendo in proprio lo sciroppo di rose e molti altri prodotti derivati. Queste piante appartengono a varietà definite genericamente “antiche”, dotate di un profumo intenso e persistente che conferisce ai propri derivati un aroma inimitabile. Lo sciroppo e lo zucchero rosato si usano anche per certi dolci come i canestrelli, lo strudel, gli amaretti e per molti altri dessert al cucchiaio. In un tempo in cui da un lato esaltiamo il valore dei prodotti alimentari tradizionali e dall’altro viviamo l’omologazione sfrenata nel medesimo comparto, specialità singolari come lo sciroppo di rose diventano autentici simboli della tradizione gastronomica. E forse il loro originare da rose coltivate nel nostro entroterra, attribuisce ulteriore valore a tutta la filiera poiché riporta benefici concreti anche a chi coltiva la terra e mantiene in vita un territorio difficile e fragile come quello delle nostre montagne.
Unica realtà un po’ decentrata rispetto al genovesato centrale, seppur compresa nella provincia di Genova, l’azienda Dalpian ha fatto parte del presidio fin dai primi momenti e oggi con lo sciroppo di rose si dedica anche alla produzione di gelato. Oltre all’agrigelateria aziendale, aperta solo d’estate, nella buona stagione Dalpian gira le piazze liguri, e non solo, con un furgoncino attrezzato a gelateria, proponendo, fra l’altro, il suo gelato alla rosa fatto con latte di un produttore di Rossiglione, a pochi chilometri di distanza, zucchero italiano e sciroppo di rose, senza alcuna aggiunta di coloranti né conservanti.