Il tavolo del ristorante stellato Vignamare questa volta è apparecchiato non con i sublimi piatti di chef Servetto, ma con le bottiglie della Peq Agri dedicate al re dei vini della Liguria di ponente: il Pigato.
È un piacere avere a fianco nella degustazione Marco Luzzati, AD dell’azienda e Alex Berriolo l’enologo di tutta la filiera produttiva, due amici vulcanici che ben si compenetrano nei loro ruoli. Il Pigato è un vino bianco derivato dall’omonimo vitigno autoctono principe della riviera ligure di ponente, di cui, insieme al Vermentino, costituisce la DOC più estesa della regione; è uno dei vitigni più affascinanti e misteriosi della Liguria, dalle origini incerte: secondo la tradizione è originario della Tessaglia, regione storica ed amministrativa della Grecia centrale, dove in quegli anni, vi erano numerose colonie genovesi dislocate nel mar Egeo, arrivando in Liguria intorno al 1600.
Il nome deriva dal latino “picatus”, e dal termine dialettale ”pigau”, che significa “macchia”, riferita alla macchiolina color ruggine presente sugli acini maturi.
Nel 1830 l’arciprete Francesco Gagliolo impiantò ad Ortovero, nell’entroterra di Albenga, il primo vitigno, che poi fu citato per la prima volta, nel Bollettino ampelografico del 1883. Il primo vino Pigato fu messo in vendita dal vignaiolo Rodolfo Gaggino intorno al 1950, al prezzo di 300 lire al litro.
Il Pigato è parente stretto del Vermentino; si tratta di un clone particolarmente fortunato. Per caratteristiche ampelografiche potrebbe derivare da un clone di Malvasia. Si parla genericamente di vino Pigato ma, in realtà è giusto affermare che esistono diversi Pigato a livello genetico, perché in base alla zona di coltivazione e al terreno su cui poggiano, cambiano numerose sfumature, rispecchiando molto i caratteri distintivi del varietale in relazione al luogo dove viene allevato: vini che sanno di mare e macchia mediterranea, ma anche di montagna, perché la Liguria è tutto ciò.
Ad esempio il Pigato dell’entroterra si esprime con maggior freschezza e con profumi intensi, complici le notevoli escursioni termiche. Vicino al mare, invece, prende toni più caldi e vivaci.
Oltre al clima, come detto, anche la diversa composizione dei suoli modifica il prodotto finale. Il Pigato è molto sensibile al terreno dove viene coltivato, infatti in base alla sua tipologia, diversi sono i sapori e gli aromi che il vino sprigiona: sulle terre bianche, ricche di calcare, il vino assume maggior finezza e freschezza, mentre sulle terre rosse, per la presenza di componenti ferrose, acquista maggior corpo e una decisa vena minerale.
Alla vista è molto simile al Vermentino, ma poi, nel calice, la differenza si palesa: il Pigato si presenta più intenso, più adatto ad affinarsi, meno lineare. Il Vermentino, invece, assume tratti più eleganti e profumati. Mentre il Vermentino da’ il meglio di sé nei terrazzamenti che si affacciano sul mare, l’altitudine adatta per il Pigato è circa 200 metri, soglia che gli garantisce il calore ma anche una buona escursione termica notturna e una relativa vicinanza al mare, tutti fattori indispensabili per il corretto sviluppo dell’ampia gamma di profumi e della sua naturale acidità. Dietro le vigne si ergono le Alpi Marittime che fanno da barriera alle correnti fredde e limitano le perturbazioni, davanti il mare: lo si annusa nel vento che ogni giorno soffia dal mare ai monti. La sua presenza caratterizza il clima, la terra e i suoi frutti.
Le sue zone di maggiore coltivazione sono quelle dell’Albenganese, dell’Imperiese, della Valle Arroscia, creando di fatto quello che mi piace definire il triangolo del Pigato. Viene coltivato sulle classiche terrazze liguri in versanti ben esposti al sole dove il terreno è ricco di argilla, la quale funge da spugna assorbendo l’acqua, per poi rilasciarne una parte nei caldi e siccitosi mesi estivi.
Lasciando il mare di Albenga, verso l’entroterra, quando la strada inizia a salire incontriamo la frazione Salea, appena sessanta metri sul livello del mare addossata sulla collina. Qui la circolazione d’aria che dal mare risale le pendici è generosa, il terreno ha una mineralità accentuata che dona ai vini una sapidità, un’acidità e una balsamicità che li rende longevi nel tempo.
Qui, e nella vicina frazione di Bastia, si inizia a identificare il vino a seconda della vigna di provenienza: così abbiamo Campo Rosso, Petraie, Cà de Pria, Cà de Berta, vigneti che Veronelli per primo volle che venissero menzionati in etichetta, evidenziandoli come veri e propri “cru”. Proseguendo in direzione Pieve di Teco si incontra Ortovero, il comune che vanta la maggiore quantità di vino prodotta e dove sono presenti numerose aziende agricole e cooperative – è considerata la culla del Pigato – la sua vicinanza al mare dona ancora al vino una sapidità molto pronunciata; tradizionale dolce della città sono le pesche al Pigato, ancora oggi celebrate in una sagra nel mese di agosto. Poco oltre, si entra in provincia di Imperia: la valle si restringe sul torrente Arroscia, le montagne fanno da catino e i campi diventano fazzoletti di terra ricchi di alberi di cachi, pesche ed erbe aromatiche. Siamo a Ranzo, tra ulivi e macchia mediterranea, sui terrazzamenti con i classici muretti a secco, i vigneti sono su piccoli fazzoletti di terra dove piantano le radici in terreni che sfumano dal rosso degli ossidi al bianco dell’argilla. Anche qui esistono dei veri e propri “cru” come “Bonfigliara” o le “Russeghine” (per la terra veramente rossa): il vino che ne deriva, sapido e minerale, è l’espressione fedele di un terroir d’eccezione.
Vino versatile e vino da invecchiamento; non bisogna avere paura a “dimenticarselo in cantina” per qualche anno: il risultato sarà sorprendente: un altro vino, con una grande personalità che volgerà con fierezza al minerale, al balsamico, all’empireumatico, con note terziarie di pino marittimo e idrocarburi. Il tempo, lo trasforma, richiamando nel bicchiere emozioni che ricordano, senza peccare di superbia, i grandi e austeri vini bianchi francesi.
La vinificazione un tempo avveniva lasciando il mosto a fermentare sulle bucce, successivamente si è virato verso una vinificazione “in bianco” con diraspapigiatura e pressatura soffice. Alcuni produttori stanno riscoprendo l’antico modo di vinificare il Pigato con risultati eccellenti. Lasciato maturare adeguatamente prima dell’imbottigliamento, deve poi affinarsi ancora in bottiglia per qualche mese prima di essere gustato nella sua pienezza di sapori.
Attualmente in vigna si tende a ridurre drasticamente l’uso di pesticidi e fitofarmaci per conservare il più possibile gli aromi dell’uva. È un vino che negli ultimi anni ha ottenuto, sulle più importanti guide dedicate, molti riconoscimenti, grazie al lavoro di aziende storiche, ma anche emergenti, che trattano il prodotto con tecniche enologiche innovative. Peq Agri, vantando vigneti in molte zone di elezione, ha scelto, giustamente, di conservare la tipicità del suolo e della vigna, vinificando le singole parcelle per donare al degustatore o al cliente del ristorante, emozioni completamente diverse.
Il primo vino in degustazione è il Pigato Praié: la vigna di Testico, comune in provincia di Savona ha un’altitudine di 500 m s.l.m., lungo una vena vulcanica con un microclima caratterizzato da forti escursioni termiche che donano un’elevata acidità e aromaticità, unitamente al sottosuolo che marca in sapidità e mineralità, caratteristiche note del Pigato. È un vino sorprendente! Alex mi spiega la filosofia del bicchiere che è quella di interpretare in chiave moderna senza snaturare quelli che sono i tratti caratteristici del vino; accanto alle note fruttate di albicocca, nespola, pesca e agrumi, abbiamo un bouquet floreale ed erbaceo che va dall’acacia alla salvia, alla camomilla, alla resina boschiva. Il tutto ben sorretto da una buona acidità, un tratto iodato significativo e una mineralità già evidente nonostante la gioventù. Un vino che si presta ad essere abbinato con piatti tipicamente liguri elaborati come quelli proposti dallo chef Servetto o piatti della tradizione come tortino di porri, zuppa di cipolle, frittatine di verdure e pesce crudo.
Il secondo vino degustato è il Pigato storico dell’altra cantina Peq Agri: Lupi. È il vino secondo la tradizione, quello più varietale, con quei tratti che da sempre lo caratterizzano; ha colore giallo paglierino, con sfumature e riflessi dorati che ricordano il colore della spiga di grano. Ha una brillantezza intrinseca che conferma la naturale acidità del prodotto. Al naso si presenta persistente ed intenso, fruttato e floreale grazie ai profumi di pesca ed albicocca mature; spiccano inoltre note di agrumi, profumi della macchia mediterranea (ginestra); sentore principale però è quello di erbe aromatiche (salvia, rosmarino, timo). Al sorso ha corpo, struttura, prevale un sapore sapido, secco e fruttato, di buona acidità e caldo, persistente; ha una discreta alcolicità con note minerali, e un finale leggermente ammandorlato. Ottimo con i piatti della tradizione: verdure ripiene alla ligure, minestrone alla genovese, stoccafisso mantecato, acciughe al verde, pescato nobile.
Un Pigato intruso (che tanto intruso non è visto che la “mano” è sempre la stessa): è il vino della cantina Berry&Berry di Alex Berriolo (cantina appena entrata nella scuderia di Peq Agri) che ci presenta il suo Campolou, un vino marino che nasce dal più vecchio cru di Balestrino: è caratterizzato da una buona articolazione olfattiva, con note di frutta bianca, agrumi e frutta tropicale, erbe aromatiche e un’incisiva nota finale di pietra focaia e salsedine. La beva è di grande impatto grazie alla tagliente sapidità, alla morbidezza e al finale persistente. Un vino dal chiaro potenziale evolutivo.
Ed eccoci al Pigato “Petraie” 2021, da vigneti di oltre 50 anni, “Cà de Pria”, “Cà de Berta”, situati nell’area di Albenga a 100 metri sul livello del mare, il “Petraie” mostra fascino già dal colore, presentandosi con un giallo paglierino brillante. Il naso è complesso: erbe aromatiche (maggiorana e salvia), sentori di pineta, un fruttato di nespola e pesca gialla, immancabile la ginestra, la camomilla e scorza di limone, ed un finale di pietra focaia; chiude con un forte impatto iodato tipico delle passeggiate tra gli scogli dopo una mareggiata. Sorso varietale, con una acidità pronunciata e una scia sapida importante, l’alcol bilanciato dalle componenti dure e una persistenza in bocca lunga, con una sensazione dolce-acida di frutta fresca, ed un finale che ricorda le erbe aromatiche. Il vino è sicuramente giovane, ma mostra tutto il suo potenziale e le sue future doti evolutive e longevità. La conferma arriva subito perché Marco apre anche Petraie 2020 e lì il profilo aromatico si fa più intenso e più ricco: i tioli, aromi considerati responsabili del carattere varietale, si fanno più evidenti confermando le considerazioni fatte sull’annata precedente: gli idrocarburi, la pietra focaia, la terra bagnata iniziano ad avere un bell’impatto olfattivo facendo immaginare cosa potremmo incontrare negli anni indietro. Fortunatamente il gruppo Peq Agri propone, nel proprio ristorante, annate passate, colmando la sete (in duplice significato!) degli amanti del vino e dei commensali aperti a sperimentare. James Suckling ha assegnato a questo vino (annata 2022) 90 punti.
L’ultimo vino in degustazione è il famoso “Vignamare” vino complesso fin dalla sua vinificazione: 70 % in acciaio e 30% in legno. Affinamento 24 mesi sur lies mantenendo a contatto, per un tempo più o meno prolungato, i lieviti, protagonisti della fermentazione alcolica, con il vino con frequenti batonnages. I vigneti, provenienti dal Cru Campo Rosso di Albenga, affondano le radici in un terreno marnoso e ricco di ferro, respirano le brezze marine, ma anche le correnti fresche che discendono dalle Alpi. L’ambiente ideale per donare un forte carattere al vino, fortemente legato alle peculiarità del territorio circostante. Il colore è paglierino vivace, brillante. Emergono sentori fini di frutta a polpa bianca fresca: pesca, melone, cedro, una nota dolce di miele, ginestra, timo, sbuffi balsamici di mentolo. Accenni minerali di pietra focaia, e una speziatura incisiva, legno sapientemente dosato che non altera il corredo aromatico, ma lo accompagna nell’esaltazione. Un sorso importante, di buon corpo, dove l’intensità e la persistenza gustativa sono significative, con una sapidità e un’acidità imponenti (James Suckling gli assegna 92 punti). Un vino ancora giovane, in netto divenire, in grado di competere ad armi pari con tutti i grandi bianchi d’Oltralpe ma che ci racconta con eleganza, in ogni bicchiere, la cultura enologica ligure. Un vino longevo ed in grado di sfidare il tempo.
Si è fatto tardi, tristemente dobbiamo abbandonare la compagnia, ma abbiamo intravisto alcune bottiglie prodotte con vitigni particolari che meritano senza dubbio una prossima visita. A presto Peq Agri!
Per info e contatti: Peq Agri Società Agricola e Vitivinicola – Strada Castello, 20 – Andora (SV) – Tel +39 0183 369 73 – info@peqagri.it – www.peqagri.it