La Cabannina potrebbe passare per una razza bovina come tante, ma chi ne conosce la storia e le particolarità sa che per l’entroterra del genovesato si tratta di un vero reperto culturale vivente.
Questa razza autoctona è stata selezionata (quasi plasmata), nel tempo lungo delle generazioni, dai piccoli contadini-allevatori dei monti genovesi, secondo le proprie necessità dettate anche dalle caratteristiche del territorio. Perciò un’animale di dimensioni modeste, leggero di peso ma con un’ossatura robusta e resistente, dotato di ottimo equilibrio e capace di pascolare su terreni impervi. Tutte caratteristiche accumulate nei secoli anche grazie al metodo di allevamento cui è sempre stata sottoposta, cioè molti mesi al pascolo e, in passato, breve spostamento verso le aree costiere (in lingua genovese scioverno) nella stagione più fredda. Oggi stabulazione temporanea.
L’insieme di queste influenze, più o meno spontanee, ha conferito alla Cabannina notevoli doti di rusticità e resistenza alle malattie, oltre a una longevità non comune.
Il nome Cabannina deriva da Cabanne, frazione del comune di Rezzoaglio, in Val D’Aveto, area nella quale un tempo si concentrava il maggior numero di capi. In realtà questa attribuzione ha all’incirca una sessantina d’anni, poiché prima d’allora non si era sentita la necessità di dare un nome a quella razza così diffusa in giro per i monti del genovesato. I piccoli allevatori l’avevano ereditata dai loro predecessori, e proprio i caratteri distintivi della razza, uniti al metodo consolidato di allevamento, formavano un connubio perfetto per sfruttare al massimo i territori anche più impervi e marginali. E anche se nelle pagine dell’Inchiesta Agraria Jacini, pubblicata fra il 1881 e il 1890, dedicate al territorio piacentino, si trova menzione di “vacche montanine” nella zona appenninica che comprende la val D’Aveto, si tratta di una definizione troppo generica per ricondurla con certezza alle odierne Cabannine, nonostante l’immaginazione riporti immediatamente a pensare a piccole vacche appeniniche come le attuali. Inoltre, proprio il termine “montanine” sembra davvero di uso comune per definire generiche “popolazioni” di bovini di montagna non riconducibili a specifici caratteri di una razza riconosciuta. Rimane comunque il fatto che questo piccolo bovino ha contribuito a nutrire generazioni di famiglie contadine dei nostri monti, fornendo latte e derivati, ma anche letame – fondamentale! – e forza motrice per trainare aratri, slitte, carri o estrarre legname dai boschi. Ancora in un passato recente, la vacca è stata un punto cardine dell’economia contadina dell’entroterra genovese, tanto che ogni famiglia ne possedeva almeno una ed era raro trovare allevamenti con numerosi capi. Dal Secondo Dopoguerra le cose sono cambiate e le piccole stalle familiari con una o due bovine, sono state via via sostituite da allevamenti numericamente più consistenti, seppur sempre assai contenuti. Lei, la Cabannina, non è cambiata per nulla: bruca a terra quando l’erba è presente in buona quantità, ma non disdegna i germogli primaverili, né i rigetti di fine stagione dimostrando un’adattabilità sorprendente. È una vocazione spontanea, la sua, derivata forse da predisposizioni ereditarie primitive che parrebbero comprovate da studi genetici condotti dall’Università di Pavia, secondo i quali “si ritiene che questi bovini possano derivare da una popolazione particolare di uri [Bos primigenius n.d.a.] con diffusione geografica limitata al Sud delle Alpi (Achilli et al., 2008) [cit. ricavata da Silvia Guida, Caratterizzazione morfologica e studio della curva di lattazione nella razza bovina Cabannina. Università degli Studi di Parma, Facoltà di Medicina Veterinaria, Tesi di Laurea, Anno Accademico 2010-2011].
Curiosità genetiche e doti naturali a parte, oggi più che mai la Cabannina, se correttamente allevata secondo il metodo che più le si addice, rimane uno straordinario strumento di gestione e cura del territorio montano, ciò che rende tanto evidente quanto scontata la perfetta triangolazione fra territorio, allevatore e Cabannina. E siamo agli esiti reali di questa sinergia virtuosa, sgomberando fin da subito il campo dai soliti slogan e dai luoghi comuni, tanto cari alla retorica del “buon prodotto del contadinello felice…”. Studi scientifici mirati, offrono dati incontrovertibili sulla salubrità del latte di Cabannina: “Studi condotti dall’Università di Milano hanno inoltre evidenziato caratteristiche peculiari del latte di questo animale, quali la minore dimensione dei globuli di grasso, valori elevati di acidità titolabile, che ne aumentano la resa in caseificazione e la particolare dotazione in acidi grassi insaturi (UFA). [Silvia Guida, Caratterizzazione morfologica e studio della curva di lattazione nella razza bovina Cabannina. Università degli Studi di Parma, Facoltà di Medicina Veterinaria, Tesi di Laurea, Anno Accademico 2010-2011]”. In questi casi, per evitare di “appesantire” l’articolo, si usa la formula “per chi voglia approfondire” indicando lo studio da consultare. Io preferisco raccomandare di approfondire, perché quanto riassunto nelle poche righe in corsivo di cui sopra, nasconde dati molto interessanti ricavati da analisi, studi e ricerche che dovrebbero interessare il “consumatore” aiutandolo a indirizzare correttamente le proprie scelte alimentari.
I dati che consiglierei di consultare, citati in alcune tesi di laurea, sono disponibili sul sito www.cabannina.it.
Con un latte tanto pregiato si fanno ottimi formaggi quali la prescinseua, le classiche formaggette e il Cabannin, simile a una formaggetta ma con una lavorazione leggermente differente che prevede, peraltro, una più lunga stagionatura. Come in tutti i cicli produttivi legati all’allevamento, anche per la Cabannina una parte dei maschi e le femmine di fine carriera sono destinate alla macellazione, fornendo una carne sana e saporita. Chi non ha dimestichezza con l’allevamento, soprattutto se praticato con metodi virtuosi, volti al massimo rispetto del benessere animale, pensa che sacrificare capi di una razza bovina considerata a rischio estinzione sia una contraddizione. Non è così, ed è semplice capirlo, poiché i pochi maschi necessari alla riproduzione, vengono selezionati secondo le migliori caratteristiche della razza, tutti gli altri, per non gravare inutilmente sul bilancio complessivo delle aziende, vengono allevati da carne. Stessa cosa capita con le bovine più “anziane”, tenendo conto che sia per doti innate, sia per il metodo di allevamento, le Cabannine campano in produzione anche fino a vent’anni, ciò che dà l’idea della differenza con gli allevamenti intensivi dove una vacca da latte, spinta alle massime produzioni, dopo una manciata di anni viene già sacrificata.cE proprio a proposito di carne di razza Cabannina, grazie al progetto Interreg IT-FR Marittimo CamBioVIA promosso da Regione Liguria, l’Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, nella persona della dottoressa Paola Modesto, ha messo a punto un test che consente di verificare se un campione di carne fresca o lavorata, derivi davvero da bovini di razza Cabannina.
Il quadro tracciato fino a questo momento tenta di descrivere le virtù reali della Cabannina e il suo profondo legame col territorio che sa praticare. Agli allevatori il compito di continuare con questo metodo di allevamento virtuoso, capace di fornire prodotti di altissima qualità restituendo alla comunità, oltre alla salubrità di quei prodotti, la cura del territorio sia in termini di sicurezza, sia quanto a tutela e bellezza. Per risultare produttiva, la Cabannina richiede solo a chi la alleva di vivere in libertà secondo i propri ritmi, ciò significa cura dell’animale, pascolo controllato, integrazione dell’alimentazione, soprattutto d’inverno, con fieno, cereali e legumi scelti.
Il ciclo perfetto della Cabannina si compie, quindi, con l’allevatore e il territorio, sommando e moltiplicando così i benefici collettivi. La montagna ha bisogno degli allevatori affinché ci sia cura, presidio, tutela e bellezza; gli allevatori accudiscono la Cabannina che fa il lavoro difficile restituendo loro latte pregiato e carni sane. Noi tutti ne beneficiamo con prodotti sani e buoni, oltre a un territorio ben tenuto e sicuro. Tutto perfetto, all’apparenza. Non fosse che l’uomo, non l’allevatore, ma chi decide le sue sorti, e un sistema malato di miopia, ci mettono del loro per complicargli la vita. E allora ecco la burocrazia asfissiante, gli innumerevoli adempimenti, per di più da regolare soprattutto “on line” in luoghi marginali nei quali troppo spesso quel termine rimane pura illusione. Perché gli allevamenti anche piccoli non vorrai mica lasciarli fare in zone comode? Devono stare lontani da tutto e da tutti, altrimenti cominciano le lamentele. E lassù lavorare costa più caro, perché si fa quasi tutto a mano, però non si possono caricare per intero i costi sul prodotto, seppur di eccellente qualità.
E se è vero che chi alleva Cabannine sopperisce a gran parte di questi squilibri con la passione, può farlo solo fino a un certo punto. Oggi l’insieme di questi fattori ha creato una situazione insostenibile, e se aggiungiamo la speculazione incontrollata sui prezzi del fieno, anche a seguito della siccità, e il carico dei selvatici fuori controllo, cioè cinghiali, lupi ecc. i conti non solo non tornano ma esplodono.
E allora non va più bene parlare di come sono bravi e simpatici i piccoli allevatori che con le loro belle Cabannine – a rischio estinzione, poverine! – vivono felici in cima ai nostri monti, bisogna far qualcosa di concreto per aiutarli dove davvero c’è bisogno, e siamo già in forte ritardo!
Finché non riconosceremo a contadini e allevatori dei monti il valore del presidio e della cura del nostro entroterra, come dell’intero territorio montano nazionale, assisteremo inesorabilmente all’abbandono, peraltro in totale spregio verso il lavoro e i sacrifici inenarrabili delle generazioni che ci hanno preceduto.
Sergio Rossi
I PRODOTTI
La disponibilità di latte con caratteristiche davvero uniche, consente di produrre ottimi formaggi a latte crudo, senza aggiunta di fermenti, fra i quali la tradizionale prescinseua, formaggio fresco (esiste anche una versione stagionata) leggermente acidulo, usato soprattutto per le torte di verdura liguri (pasqualine) e per altre preparazioni di cucina; la classica formaggetta fresca, che può andare dai quindici ai trenta giorni di stagionatura; U Cabannin, che si presta a una stagionatura prolungata; la ricotta fresca e la stagionata, quest’ultima definita Sarazzu o Sarassu, tipica della Val D’Aveto. Oltre a queste produzioni più classiche, col latte di Cabannina si fanno altri formaggi secondo l’estro e le preferenze dei singoli produttori. Singolare ma assai apprezzato il Dolce di latte, una sorta di crema ottenuta dalla miscela a caldo di latte e zucchero. Riguardo alle carni di Cabannina, è bene orientarsi verso preparazioni che ne esaltano il sapore, come la battuta al coltello, oppure cotture piuttosto lunghe come gli stracotti e i brasati. In ogni caso, vale sempre il vecchio consiglio di avvalersi dei suggerimenti di un macellaio di fiducia. Fra i prodotti derivati dalle carni, il salame, la salsiccia e la tradizionale Mostardella, un tempo definita “salame dei poveri” perché ricavata dagli “scarti” della lavorazione del salame, oggi prodotta con carni scelte, pur nel rispetto della “formula” tradizionale. Ognuno dei prodotti di cui sopra rispetta un disciplinare interno che ne regola la produzione.
IL GIUSTO PREZZO
Ogni produzione di qualità ripropone il tema del “giusto prezzo”, e certamente i prodotti derivati dalla Cabannina necessitano di una riflessione in tal senso. Come attribuire, per esempio, il valore reale a un formaggio, fresco o stagionato, ricavato da latte di bovina tenuta al pascolo sui nostri monti ed eventualmente nutrita con una piccola integrazione di cereali e legumi scelti, lavorato con cura non escludendo perfino che sia certificato biologico? Stesso ragionamento per le carni sane derivate sempre da bovini liberi per la gran parte della loro vita, nutriti come sopra e privi di qualunque residuo tossico dovuto a inquinamento ambientale, medicinale eccetera. Infine la questione determinante: siamo disposti, noi “consumatori”, a fronte di queste garanzie, cioè in presenza di prodotti sani e buoni – condizione essenziale! – a riconoscere ad essi il giusto valore che non potrà essere equiparabile al prodotto “convenzionale o industriale”? Alla fine di tanti discorsi, la faccenda si concentra tutta in queste semplici e perfino retoriche domande, alle quali, però, occorre dare una risposta certa oggi. E qui non c’entrano le istituzioni, ma solo la nostra coerenza di consumatori, soprattutto di coloro i quali ritengono che la sana alimentazione sia fondamentale per mantenersi in buona salute.
L’A.P.A.R.C.
APARC sta per Associazione Produttori Allevatori Razza Cabannina. L’associazione nasce con il riconoscimento di Presidio Slow Food conferito alla Razza Cabannina e da allora si occupa di ogni aspetto legato al piccolo universo che ruota attorno a questo bovino autoctono. Raduna circa una ventina di produttori e allevatori, cercando di tutelare e valorizzare sia le caratteristiche intrinseche della razza, sia regolare e promuovere i prodotti che ne derivano. Abbiamo chiesto al giovane presidente dell’associazione, Luca Quirini, di mestiere allevatore, come vede l’immediato futuro della Cabannina. Di seguito la sua riflessione: “Vedo il riscatto della Cabannina e dei suoi allevatori da secoli di deprezzamento e svilimento culturale del loro lavoro. Vedo aziende che comprendono quanto non sia più attuale e sostenibile un modello basato sulla quantità e perseguono una filosofia coerente con la Cabannina, dove l’animale è legato a doppio filo alla realtà in cui si è evoluto. Vedo un territorio che diventa risorsa economica: ogni castagna, frasca o fontana una ricchezza che riflette un prodotto eccellente, ricercato e pagato adeguatamente, capace di restituire dignità all’allevatore, fornendo un esempio da seguire per altre realtà montane e “depresse”, come si usava dire un tempo. Vedo un lavoro mirato alla salvaguardia della genetica più tradizionale con una selezione volta a migliorare sempre la razza senza perderne l’identità e le caratteristiche. Vedo allevatori stanchi e spersi, ognuno nell’individualismo della propria fatica quotidiana, lavorare insieme per sopperire alle reciproche mancanze, collaborando con coraggio per testimoniare il proprio orgoglio di fronte all’acquirente, al commerciante, all’istituzione. Vedo uomini e donne che non vogliono più chiudere la stalla, ma farla crescere riconoscendo nel proprio lavoro un dignitoso valore economico. Vedo una crescente attenzione collettiva verso un prodotto che non ha eguali sul mercato: l’animale e il prodotto hanno un valore impagabile che spetta a noi rivalutare. Questo e altro vediamo noi di APARC, ed è ciò in cui crediamo fermamente e faremo il possibile perché accada prossimamente”.
IL GUSTO DELLA CABANNINA
(A cura della redazione)
Se l’articolo di Sergio Rossi vi ha incuriosito di seguito vi segnaliamo alcune aziende in cui potrete scoprire i prodotti derivati dalla Cabannina. Come accennato si tratta di piccole produzioni di eccellenza (non aspettatevi di trovarli nei supermercati della grande distribuzione) quindi armatevi di curiosità e pazienza e sarete senz’altro ripagati.
Per quanto riguarda i formaggi vi segnaliamo Azienda Agricola Dolce Fiorita di Rapallo. A seconda della disponibilità troverete la ricotta, lo stracchino, il primo sale, la caciotta Cabannina senza dimenticare la prescinseua. Sul sito www.dolcefiorita.it potete contattare i titolari e prenotare una visita con degustazione oppure ordinare direttamente i prodotti (Tel. 347 0184676 Laura).
Spostandoci a Levante ecco l’Agriturismo Filo di Paglia. Nel loro Ristorante “Stallato” vengono serviti formaggi unici a latte crudo e con lieviti indigeni, carni fresche e salumi da mucche Cabannine allevate libere al pascolo. Tutte le informazioni su www.agriturismoilfilodipaglia.it (tel. 346 1849220).
Per quanto riguarda la carne non sono molte la macellerie che offrono con continuità questo prodotto, anche per via della poca disponibilità. A Genova segnaliamo Rosso Carne di Via Ravecca 75r che ha inoltre l’omonimo ristorante per un consumo sul posto. Info su www.rossocarne.it (Tel. 010 2530518).
Sulle alture di Genova troviamo la Macelleria Fratelli Basso di Gattorna. La nuova sede è una vera boutique del gusto dove oltre alla carne troverete il formaggio di Cabannina. Info su www.macelleriafratellibasso.it (Tel. 0185 934533).
A Chiavari ecco la Macelleria La Cittadella. Al punto vendita storico di Via Doria 16 da aprile 2022 si è aggiunto il nuovo negozio di via Parma 244 (Tel. 0185 382429).
E se volete approfittare di un giro a Chiavari anche per visitare la Val d’Aveto, terra d’elezione della Cabannina, vi consigliamo la macelleria Terre di Casaleggi in via Roma 43 a Rezzoaglio specializzata nella produzione di salumi (www.casaleggi.com).
Ricordate che la carne che proviene da questi animali ha caratteristiche differenti dai nomali tagli. Affidatevi ai consigli dei macellai che saranno lieti di illustrarvi le peculiarità di questa carne e di darvi qualche “dritta” indispensabile per una cottura ottimale. Oltre ai formaggi alcuni maestri gelatieri si sono impegnati a realizzare gusti a base di latte di Cabannina.
Il risultato è tutto da scoprire presso la Gelateria 100% Naturale di Via XXV Aprile 126 a Sestri Levante (tel. 0185 1770799) o dalla Gelateria Dasso di Via Brigate Partigiane 28 a Cavi di Lavagna (tel. 0185 390544). E magari approfittatene per assaggiare anche il gelato alla Nocciola Misto Chiavari.
Infine anche alcuni ristoranti propongono specialità con carne di razza Cabannina.
A Sestri Levante vi consigliamo l’Articiocca: situata in via Nazionale 109, è una bottega di prodotti gastronomici che in un ambiente informale offre anche la possibilità di consumo in loco. Trovate tutte le informazioni su http://articiocca-sestrilevante.it (Tel. 346 3927170).
A Genova oltre al già citato Rosso Carne vi segnaliamo il Ristorante la Pineta specializzato nella preparazione di carne alla brace (Via Gualco, 82). Tel. 010 802772, informazioni e prenotazioni sul sito internet: www.ristorantelapineta.org.
Segnaliamo infine che anche alcuni ristoranti che si fregiano della stella Michelin in Liguria hanno inserito in menù la Cabannina. L’abbiamo trovata nel menù sia del Ristorante San Giorgio di Genova sia del Vescovado di Noli.