Le piccole botteghe locali, veri e propri scrigni di socialità e tradizione, si trasformavano durante le feste, diventando luoghi dove lo spirito natalizio e i riti quotidiani si incontravano. In ogni paese, dai grandi centri del fondovalle alle più remote frazioni montane, la bottega costituiva una vera e propria agorà nella quale, in attesa del proprio turno, le persone discutevano tra loro informandosi sulle nascite, le morti, i mille eventi del quotidiano. Più si avvicinavano i giorni delle feste natalizie, più il clima nelle botteghe mutava. Alle notizie sui figli, i nipoti, il cugino nella “Merica” si sostituivano i reciproci scambi di idee su ciò che si poteva cucinare, sulle feste da preparare, sull’evento tanto atteso perché momento di tregua dagli affanni quotidiani. Il Natale diveniva il paese di Cuccagna raggiungibile, almeno per un giorno, da chi era avvezzo a durissime e lunghissime giornate di fatica.
Non erano certo i fasti delle città a illuminare quelle vetrine: bastavano una semplice ghirlanda di luci o un alberello decorato con fiocchi di cotone o qualche arancio per creare un’atmosfera magica.
Qui, tra scaffali che riunivano generi alimentari, merceria, casalinghi e ferramenta, si acquistavano gli ingredienti per le semplici ricette di Natale: la focaccia dolce o i lunghi maccheroni per la tradizionale minestra di Natale. Come si è visto, questi negozi di paese non erano dunque solo luoghi di scambio commerciale, ma il cuore pulsante di comunità rurali. Gli abitanti, in larghissima parte contadini, allevatori, casari, carrettieri o boscaioli, potevano vendere i loro prodotti mantenendo vivo un sistema economico basato su relazioni genuine e mutuo supporto, in un mondo nel quale la stretta di mano diveniva la suprema garanzia. Mani coi calli, rughe, cicatrici, indelebili segni di lavoro, mani di popolo più forti di ogni contratto scritto. Oggi, molte di queste botteghe stanno scomparendo. Eppure, quelle poche che resistono sono custodi di un fascino unico: lo si può percepire nei piccoli dettagli, nelle decorazioni spontanee e nei gesti autentici di chi, con passione, tiene in vita una tradizione che rischia di svanire. Nonostante le difficoltà, alcuni negozianti stanno trovando modi innovativi per preservare queste realtà. Creare laboratori alimentari per produrre specialità locali o diventare vetrine territoriali per i produttori agricoli della zona sono strategie che stanno aiutando a far rivivere queste attività. È un ritorno al mercato vicino casa, dove i prodotti passano direttamente dalle mani di chi li coltiva o li crea al consumatore finale, riducendo costi e valorizzando la qualità. Nel presente si custodisce il passato per costruire il futuro.
La Bottega dei Cavagnari a Montebruno
di Giobatta Garbarino
Alla bottega dei Cavagnari di Montebruno, da 4 generazioni commercianti, osti, ristoratori, camionisti e ufficiali di Posta, si arriva dallo stradone, la statale 45 che passa in mezzo al paese, si salgono alcuni scalini e ci si trova su una loggetta terrazzino.
Da qui si vede un mondo che non c’è più ma che vibra nell’identità e nelle antiche pietre del paese.
Ecco la porta del caffè da trent’anni chiuso, un armadio in cui si intravedono tovaglie e servizi da tavola di un ristorante che era cucina stellata e comunità e il negozio di alimentari, ancora aperto, oggi emporio affascinante: coppa e salame piacentino, rape rosse, vino, dolci locali e curiosità dolciarie da frontiera dell’Appennino genovese, pinoli e noci, funghi e frutta secca, verdure, frutta, le tradizionali grandissime e succose pesche di Volpedo che d’estate arrivano, di notte, sul camion di famiglia, il Fiat 40. Un frutto, le pesche di Volpedo, che evoca pure i paesaggi di Pelizza, non proprio chilometro zero, ma quasi, essendo le vallate del Tortonese non lontane geograficamente e culturalmente. Qui lavora, da cinquant’anni, Marina Cavagnaro che tutti i giorni si muove dalla cucina del retrobottega al negozio con il passo veloce e lo sguardo attento sul piazzale di fronte, oltre lo stradone, ove stanno il magazzinetto, il baraccone e la vecchia Posta e ove un tempo c’erano pure i tavoli del caffè all’aperto. Marina, sposata con Pippo Cavagnaro, storico portalettere e camionista, anima questo mondo antico e, con grazia, prende cartoncino e penna per scrivere le etichette della merce e dei prodotti che vanno sugli scaffali della bottega. Lo fa dalla sua cucina, in mezzo a vecchie fotografie e ricette delle zie Cavagnaro – Anna e Maria -, le cuoche di prelibatezze montebrunesi, mentre il cognato Gino Cavagnaro esce, con un arancio in mano, diretto verso il suo baraccone e sulle note del canto delle galline del pollaio sotto casa e del Trebbia che scorre a pochi metri. Suoni e voci sempre uguali e sempre diversi a scandire una quotidianità fatta di relazioni umane e affetti. Questo semplice e grazioso gesto, quasi quotidiano, di Marina Cavagnaro ci piace fermarlo sulla bella tovaglia delle feste, da lei ricamata in gioventù, come a comporre l’albero della tradizione con le etichette dei tanti cibi che la tavola del giorno di Natale ospita mettendo insieme nostalgia e desiderio, cura e amore, fantasia e concretezza. Come i castagni di Montebruno, con radici ben piantate in una terra amata e i rami rivolti al cielo, aperti ad ogni possibile orizzonte.