LA PRIMA SCUOLA DI PESCA IN ITALIA

di Hira Grossi

Un esempio virtuoso per valorizzare la piccola pesca parte proprio dalla Liguria: si è concluso il ciclo di formazione della prima Scuola di Pesca in Italia che ha visto diplomarsi 8 studenti dopo ben 600 ore tra pratica e teoria.

Italiani popolo di santi, poeti e navigatori. Probabilmente, al detto manca “… e pescatori” o per lo meno così ritiene Felice Mammoliti, pescatore da quattro generazioni o forse più, attualmente parte della flotta dei pescatori della Darsena, attracco urbano dove si affaccia il Centro Storico di Genova. Si tratta di flotte fatte da pescherecci contenuti, ideali per la pesca sotto costa, niente a che vedere con le cugine del Nord Europa in grado di solcare mari impetuosi o addirittura oceani. La storia di Felice è un esempio perfetto e preciso di ciò che l’evoluzione della società, del consumo e del lavoro abbiano significato per uno dei mestieri più strettamente legati alla storia del nostro Paese: il borgo marinaro, oggi quartiere della Città, i gozzi che si trasformano in pescherecci che crescono in misura e in equipaggio dal 1890, anno in cui Felice ritrova le prime testimonianze familiari. Poi, però, le leggi comunitarie entrano e disciplinano, le flotte si riducono, le barche rimpiccioliscono per stare dietro ai divieti, alle leggi e alle condizioni della “nuova” pesca che poco distingue tra industriale e piccola pesca professionistica. Si ritorna, quindi, a mezzi più idonei, costringendo la piccola pesca locale  a una guerra tra professionisti e diportisti; “siamo tornati a come eravamo 40 anni fa” riferendosi al presente e specificando: “sono l’ultimo dei pescatori della mia famiglia; mio figlio fa informatica, se non trovo qualcuno che si appassioni, con me finisce tutto”. Ma forse uno spiraglio di speranza c’è. Felice da quest’anno è il Prof. Mammoliti, docente all’interno della primissima scuola di pesca in Italia che ha già concluso il primo ciclo formativo. Procediamo con ordine.

LA PROFESSIONE CHE NON ESISTE

Qualsiasi professione, per essere riconosciuta come tale, deve essere iscritta e codificata nel repertorio delle figure professionali suddiviso per regioni. Ne esistono, regolarmente abbinate a codice, tra le più disparate, ovvie e moderne. La pesca non era tra quelle. Non era poichè, a seguito del progetto formativo innovativo che ha, di fatto, creato una scuola vera e propria dedicata al comparto della pesca, la Liguria ha inserito la professione del pescatore di diritto nel repertorio ligure. Quali sono i requisiti affinchè un mestiere, seppur così antico e tradizionale, venga riconosciuto ufficialmente come tale? La formazione è la chiave di lettura del raggiungimento dell’obiettivo, poichè solamente attraverso un percorso certificato si crea un sistema di verifica, controllo e abilitazione al lavoro. La formazione, però, necessita anch’essa di supporto e promozione che non può essere esclusivamente legata all’iniziativa e alla buona volontà di una regione. “Una piccola goccia, però è la prima ed è benedetta” conferma Mirvana Feletti del Dipartimento Agricoltura Turismo Formazione e Lavoro della Regione Liguria che nel progetto scuola ha creduto fin dal primo giorno, diventandone docente.

I NUMERI, LA LEGGE

I pescatori professionisti in Italia superano le 30.000 unità messi a confronto con gli oltre 1 milione di praticanti e amatori; lungo i 7500 km di coste presenti sono circa 11.000 le flotte di piccola pesca attive. Secondo i dati di UE Coop, da un censimento del 2020 il settore della pesca e dell’acquacoltura italiano vale <strong>1,4 miliardi di euro </strong>e deve far fronte a uno stock nazionale in grado di coprire solamente il 20% dei consumi. “Quando nel 2002 abbiamo fatto il Gio Maria era la barca più grande di tutte a Genova, era un 22 metri che dava da lavorare a 10 persone come equipaggio. Dal 2009, le nuove leggi comunitarie hanno introdotto talmente tante restrizioni a noi piccoli pescatori che abbiamo dovuto darla via. Ora è in Albania, ancora in mare” dice Felice, stropicciandosi gli occhi, unico momento in tutta l’intervista. Quando ti toccano gli affetti, ti commuovi naturalmente e per una famiglia che da più di 100 anni va avanti grazie al mare, la barca è una parente stretta. La legge comunitaria, infatti, disciplina il comparto pesca in maniera unitaria, raggruppando un’area vastissima, dal Mar Baltico al Mediterraneo che, in comune, ha probabilmente solo l’elemento acqua. Codifica tecniche atte alla preservazione serrata delle biodiversità e dell’ambiente senza tener conto della capacità, dell’ecosistema e delle strutture socio-economiche delle aree più limitate, tra tutte Italia, Grecia e Croazia. Una serie di norme assolutamente puntuali per chi, come la Norvegia, solca mari impetuosi con flotte oceaniche. “Tutti i paesi hanno leggi restrittive in materia di tutela dell’ambiente marino; le norme che fissano i sistemi di pesca sono idonee ai paesi del Nord, dove ci sono poche specie con taglie medio grandi. Bisogna iniziare a introdurre regole precise su specifiche tecniche e aree di pesca. Noi abbiamo una ricchezza di biodiversità molto elevata: infatti, a parità di specie abbiamo taglie e quantità differenti di pescato.” sostiene Daniela Borriello, responsabile di Coldiretti Pesca nazionale che sulla battaglia inerente alla salvaguardia della piccola pesca sta portando l’attenzione a livello nazionale “Non si tratta e non si può paragonare alla pesca industriale che utilizza flotte grandi con stoccaggi direttamente in stiva; le nostre attività sono giornaliere e limitate nello spazio e nel tempo. Lo strascico, grande attenzionato del comparto, è attività di poche ore durante il giorno ma per Bruxelles è invasivo. Nella pratica del nostro mare, poi, è naturalmente contingentato nella pratica da fondali fangosi e solo a determinate profondità. Non vale il divieto o la norma quanto la capacità di gestire l’attività. L’unica opportunità di far sentire la voce della piccola pesca è quella di portare piani di gestione ordinati, puntuali e non lavorare solo sulle emergenze”.

IL RICAMBIO GENERAZIONALE

La conoscenza porta interesse, l’interesse adesione e l’adesione attiva la formazione. Così è nato il progetto della scuola di pesca come proposta “da basso” per iniziare a smuovere le acque dal punto di vista dell’attenzione generale a un settore che, molto spesso, viene svalutato dall’ignoranza stessa e dal pregiudizio. Un lavoro duro, senza dubbio ma assolutamente secolarizzato rispetto all’immaginario generale del povero pescatore con la canna da pesca e il berretto sgualcito: tecnologia e studio, i punti cardine della formazione del corso. 600 ore articolate tra pratica e teoria, dove a insegnare sono stati i pescatori professionisti stessi, oltre a ingegneri, esperti della Capitaneria di Porto, funzionari e professori veri e propri che hanno fornito un quadro piuttosto preciso, chiaro e attento della legislazione vigente relativa al mare, al mestiere di pescatore e a tutti i procedimenti che devono inserirsi a norma di legge nella filiera. “Ho avuto qualche momento di mancamento quando ho dovuto imparare i nomi dei pesci in latino ma questo richiede la legge sulla tracciabilità del pescato” dice Giuliano Cologna, neo diplomato alla scuola di pesca che ha guadagnato con entusiasmo e dedizione il famoso “pezzo di carta” che gli consente di sognare in grande. “Devo finire il praticantato con il mio comandante e, essendo a bordo di una barca che fa attività di ittiturismo, posso conciliare la mia passione per la cucina con quella per il mare. Poi, in futuro, vorrei diventare come lui, come il mio comandante e avere una realtà tutta mia” conclude. Infatti, a seguito del conseguimento del diploma sono necessari periodi di praticantato in mare: “Bisogna pensare a una riforma del settore scolastico in ambito di pesca” aggiunge Mirvana Feletti “come si fece con l’agricoltura nel primo dopo guerra; ammodernare le modalità di istruzione sul settore, creando delle classi che garantiscano un ricambio generazionale sicuro, costante e preparato. Durante il praticantato non si può essere imbarcati per legge e questo crea ulteriore gap tra la domanda e l’offerta: se non puoi guadagnare per l’ anno del praticantato, il mestiere diventa meno appetibile. Ci vuole una vera e propria rivoluzione scolastica e culturale”. A oggi, infatti, il mestiere di pescatore poi professionista rimane una questione di famiglia. Da padre pescartore nasce figlio pescatore e questo filo invisibile tra il destino e la passione non deve trovare intoppi. Non deve appassionarsi all’informatica, per esempio; altrimenti, diventa un grosso problema per la gestione di investimenti che, nella pratica, coinvolge nuclei familiari interi. Da questo primo percorso di formazione sono arrivati al diploma in 8, tutti regolarmente occupati al momento, rispetto ai 20 che si erano dimostrati interessati all’iscrizione. Tra di loro, anche una ragazza che, però, ha trovato un’altra occupazione prima della fine del corso. C’è vita su Marte, si può dire.

IL FUTURO E LE PROSPETTIVE

L’unica via per un futuro strutturato è quella della diversificazione: inutile pensare a lotte Davide-Golia con leggi che tutelano macroaree e attività, di fatto, troppo lontane tra loro. La via è quella della progettazione attraverso i suddetti piani di gestione, della promozione e dell’informazione senza cadere in stupidi stereotipi, dell’implementazione del sistema formativo che, a questo punto, deve essere regolato a livello governativo. Poi, si può parlare di diversificazione: la scuola di pesca offre tanti sbocchi lavorativi legati al mare, non solamente legati alle tecniche specifiche di pesca secondo le tradizioni locali. Dall’ittiturismo, al pescaturismo, alla trasformazione. “Il futuro del settore della piccola pesca deve passare obbligatoriamente dall’evoluzione del mestiere in sè, dalla creazione di una rete con aziende di trasformazione, all’innovazione tecnologica e alla predisposizione a far conoscere la pesca e il pescato “ dice Daniela Borriello che ha l’obiettivo di portare l’attenzione del Ministero senza dubbio alla tutela dell’ambiente marino con particolare attenzione, però, alle piccole economie, spesso circolari, che ruotano attorno alle flotte urbane nazionali. Nuove prospettive, quindi, per la commercializzazione attraverso pratiche di diversificazione sono parte dell’offerta lavorativa che ruota attorno alla Scuola di Pesca, già presenti a Genova. “Non devi pensare ai soldi e all’orologio se vuoi fare il pescatore” conclude Felice Mammoliti, pescatore ma ormai prof. “La pesca richiede sacrificio ma nasce da una passione; non accusi la fatica se sei appassionato. Certo, il cambiamento climatico ci mette alla prova e per noi è sinonimo di venti incontrollabili che rendono pericolosa la navigazione. Di fame, però non si muore mai e nei mesi buoni recuperi quello che non hai fatto prima. Nei tempi liberi devi cucire le reti, pensare a dove andrai a calare. Io col mare ci parlo e lui mi risponde, sempre”. Quali sono, quindi, i requisiti per candidarsi come nuovi studenti alla Scuola di Pesca? Felice risponderebbe che senza dubbio bisogna avere il mare che scorre nelle vene al posto del sangue ma, quelli come lui, stanno lentamente e inesorabilmente invecchiando. Con loro, le flotte intere e le economie che ruotano attorno a queste piccole grandi perle perfettamente in linea con l’immaginario della bella Italia, tanto cara al turismo estero. Quindi, rilanciando ai giovani, cosa deve possedere lo studente perfetto della Scuola di Pesca? Curiosità senza dubbio, forza di volontà, non avere pregiudizi o aver voglia di scongiurarli definitivamente per aprire le porte a una figura sempre più, per necessità o virtù, proiettata verso un pescatore 5.0.

 

Ti potrebbe piacere anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *