Ripensando al Natale lungo la Liguria di Levante, subito “irrompe” negli occhi il presepe a grandezza naturale di Manarola, idea geniale di Mario Andreoli (ci ha purtroppo lasciati proprio al vigilia dello scorso Natale), che dall’8 dicembre accende una magica collina delle Cinque Terre. Cinque Terre, la via dell’amore, i santuari…
Sovente, quando le percorro, porto con me una vecchia raccolta di poesie di Eugenio Montale, che nacque in corso Dogali a Genova* (una targa Deogratias lo ricorda), ma visse lunghe stagioni nella villa liberty di famiglia – la “pagoda giallognola” con le due palme – a Monterosso… Gli piacque sovente, un po’ ghiottone com’era (“Nacqui lurco…”), ragionare di storia gastronomica, predestinando se stesso al girone dantesco dei golosi:
«Che la pesca e i viaggi fossero, certamente, le quasi sole occupazioni degli uomini è un fatto che spiega i caratteri della cucina ligure. Di conseguenza, è una cucina per gli assenti, insomma per quelli che torneranno e che tornando (non si sa tra quanti giorni) dovevano trovare “in dispensa” qualche cosa da mangiare. Perciò questa è l’origine dei meravigliosi piatti freddi. La cima ripiena, la torta pasqualina… Sicuramente innumerevoli altri ripieni (di zucchini, di melanzane, di sardine, di cavoli), i sott’aceti, i sott’olio. Infine i funghi “in addobbo”, in pratica tutte cibarie che non hanno nulla da perdere se il loro ipotetico consumatore non è ancora apparso all’orizzonte. Unica eccezione: la panizza (di farina di ceci), che dovrebbe esser divorata caldissima, prima che giunga a tavola».
E’ una citazione nell’introvabile volume sul vedutista parigino Eugène Cicéri (1813-1890) Paesaggi della Riviera di Levante. Il Banco di Chiavari e della Riviera Ligure nella ricorrenza dei primi cento anni della sua vita (ed. Valdonega, 1970).
Essa svela quanto le fondamenta del nostro ricettario si volgano – ora con piatti più quotidiani ora più articolati – a persone sovente distanti, poiché use guadagnarsi frugalmente (ad es. con la pesca) il necessario per vivere. Quanto al basilico, re del pesto, affermò – forse con affetto municipalistico – che quello giusto cresce in una latta sui tetti d’ardesia della vecchia Genova. Mi spingo a sospettare che forse non sarebbe esistita la sua lirica senza il costante riferimento a quelle coste scabre dove si fossilizzano gli ossi di seppia, quelle fasce verticali terrazzate dai muretti a secco, quegli orti assolati fin quasi all’aridità, quei muri che cocci aguzzi di bottiglia possono rendere invalicabili. Ed è non a caso, quell’incredibile pentaborgo di case-torri aggrappate dinanzi al mare, uno dei luoghi per eccellenza della viticoltura eroica, e Montale in Prose e racconti allude ad un passito (a bacca nera) affine per struttura allo Sciacchetrà, ma di cui sentenzia “…il tipo classico, bevuto sul posto, autentico, al cento per cento, supera di gran lunga quel farmaceutico vino di Porto che ebbe larga fortuna in Inghilterra dopo la grandezza e la decadenza del Marsala”. Sono anche le Cinque Terre – beninteso – delle acciughe salate, delle lampare estive, delle arbanelle colmate a strati e pressate in cima da un disco d’ardesia, dei riti millenari, delle violente mareggiate, di qualche ulivo.
E delle limonaie cariche di limoni, per la marmellata da crostate dolci, così gialli che, per un attimo, “…il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d’oro della solarità”. Ed infine, nella tarda e struggente Al mare (o quasi), recuperiamo anche un cenno ai pinoli, indispensabili per la galantina, uno dei piatti più eleganti, e natalizi, in Riviera ma anche sotto la Lanterna.
Penso all’imminente Natale lungo la Liguria di Levante – terra blu e verde, di mare e di collina, di pesce e d’ortaggi – e subito “irrompono” negli occhi le scarpazze (stirpade, scherpade…) a Bolano, Sarzana, Calice al Cornoviglio, Santo Stefano Magra…, il poncrè a San Terenzo di Lerici, la spungata a Sarzana (perfetta per viandanti e pellegrini lungo la Francigena), il seccone a Castelnuovo Magra… Terre di castelli, di musei, miele, ulivi, castagni, testaroli.
Ogni anno da più di 40 anni lo specchio acqueo dinanzi al molo della Spezia rievoca la Natività. Grazie ad un team di sommozzatori riemerge davanti a Passeggiata Morin una grande conchiglia con la statua di Gesù Bambino. Issata la conchiglia sul molo, la statua si avvia in processione per le vie del centro, fino all’abbaziale Santa Maria Assunta in piazza Beverini (la fuoriuscita dalla pandemia colma e colmerà di ulteriori significati questi riti). E cosa imbandirà la tavola? Alla Vigilia si darebbe anzitutto da mangiare al camino, “nutrendolo” con qualche pezzetto di cavolo lesso o di carne e qualche goccia di vino rosso. L’indomani ecco frissèi (di baccalà…), torte d’erbi, acciughe ripiene, anguilla, verdure in addobbo o in giardiniera, affettati, qualche volta crostini coi fegatini.
Poi ravièi o tordèi** che dir si voglia (mutano nome verso Arcola e Castelnuovo…), qualche volta capeleti in brodo, qualche volta crozeti. I secondi hanno – in base ai gusti – le sembianze della gallina, del cappone, del tacchino, del coniglio alla contadina, ma anche della cima ben guarnita di salsa verde, e del cappon magro. Golosi i carciofi fritti, o a funghetto, dono di stagione. Gran finale con pandolci, spungate, buccellati…, nonché l’immancabile frutta secca, fra cui le mandorle, simbolo di risveglio, di vita feconda. Presumo che Montale avrebbe apprezzato. E gli abbinamenti con calici di DOC liguri renderanno territoriali i migliori brindisi…
* in un pezzo del 1968, “Genova nei ricordi di un esule” (prefazione a Genua urbs maritima, a cura delle PR Italsider), così Montale omaggia la città natia: «Quando io venni al mondo Genova era una delle più belle e tipiche città italiane. Aveva un centro storico ben conservato e tale da conferirle un posto di privilegio tra le “villes d’art” del mondo; una circonvallazione più moderna dalla quale il mare dei tetti grigi d’ardesia lasciava allo scoperto incomparabili giardini pensili; e a partire dalla regale via del centro una ragnatela di carruggi che giungeva fino al porto».
** “tordei s-ciopà” (ravioli scoppiati), lasagne s-tordelà… Il ripieno può anche condire le farfalle (le gasse del Genovesato). La ricetta di Arcola è tendenzialmente bianca, senza pomodoro.
Umberto Curti