Credo non ci sia angolo della Liguria dove non si prepari la torta di riso. Per questa ragione, unificare la ricetta indicando una versione comune è impossibile.
Le varianti locali della Torta di Riso sono quasi infinite, derivate sia da consolidate abitudini comprensoriali, sia da disponibilità particolari determinate dalle stagioni o dalle contingenze. Stiamo parlando della versione salata, lasciando perciò da parte tutte le torte di riso dolci, anch’esse suddivise in innumerevoli varianti.
Tanto per inquadrare il tema, la torta di riso ligure, pur essendo una specialità a sé, potrebbe essere ricondotta alla famiglia delle “pasqualine”, cioè quelle torte salate contenenti un ripieno a base di ortaggi o verdure. Anche questa affermazione è del tutto generica, poiché lo sterminato mondo delle torte di riso comprende varianti con due strati di pasta a racchiudere il ripieno, con una sola sfoglia che fa da fondo, con una base di pastella e, infine, “nude”, poggiate solo su una spolverata di pangrattato, forse più affini a polpettoni e frittate. E non è finita qui: se volessimo fare una scansione dei diversi ingredienti che entrano nel ripieno, dovremmo scervellarci, correndo comunque il rischio di dimenticarne qualcuno. La torta di riso, come altre specialità tradizionali, è entrata così profondamente nella cultura popolare ligure da diventare quasi una questione di famiglia, un prodotto che, oltrepassando le differenze e i dettagli, vive di sfumature talvolta quasi impercettibili. Questo legame radicale con le comunità liguri ha ispirato la nascita di feste e sagre nelle quali la torta di riso, come simbolo gastronomico di quel luogo, è stata eletta protagonista di una ricorrenza religiosa o di una festività.
Il riso è l’ingrediente caratterizzante, seppur declinato nelle sue numerose varietà, ciascuna con caratteristiche differenti. E il pensiero corre inevitabilmente alle cosiddette “stagioni dei risi” che centinaia di donne affrontavano per portare a casa qualche quattrino e una piccola scorta di riso. Vite grame sotto tutti i punti di vista: ambiente malsano, giornate intere con i piedi a bagno e la schiena piegata, fra rettili d’acqua e zanzare, paghe inadeguate come le condizioni di lavoro, il vitto e l’alloggio. Eppure tante donne partivano dai nostri monti per trascorrere qualche settimana in risaia: ce n’era bisogno per l’economia familiare, quei pochi soldi “venivano bene”, come il riso, pagamento in natura. Ed ecco che la minestra di riso e latte dei contadini dell’entroterra evidenzia provenienza e diffusione, almeno in buona parte. Che poi, a pensarci bene, cos’è una generica torta di riso se non un riso e latte del giorno prima, arricchito da un uovo, poco formaggio e un’erba aromatica, poggiato su uno strato di pasta e passato al forno? Qualcuno storcerà il naso perché dalle sue parti il ripieno si fa con ingredienti diversi, ma a me piace questa visione un po’ inconsueta di una specialità del “recupero”, figlia legittima di un’altra ricetta.
Secondo le indicazioni della Cuciniera di Emanuele Rossi (La vera cucina genovese, Livorno 1865), il riso bollito e scolato si mette in casseruola dopo aver approntato un soffritto (in olio) di cipolla, prezzemolo e funghi (non specifica se freschi o secchi, forse dando per scontata la stagionalità). Mescolato brevemente affinché non si attacchi al fondo della casseruola, il riso così condito si toglie dal fuoco aggiungendo abbondante parmigiano grattugiato. Una volta raffreddato, Rossi consiglia di proseguire nella preparazione della torta esattamente come fosse una pasqualina, cioè disponendo il riso su una sfoglia e ricoprendolo con uno strato di prescinseua, il classico formaggio fresco e acidulo diffuso soprattutto fra Genova e il levante ligure. In realtà, per seguire alla lettera le indicazioni del ricettario, si dovrebbe aggiungere alla prescinseua una generosa dose di panna fresca, qualche cucchiaio di farina e un po’ di sale. Chi si lascerà tentare e vorrà provare la ricetta, deciderà per il meglio: scegliere una prescinseua di qualità sarà già di grande aiuto.
Volendo provare a tracciare le attuali differenze fra le varie versioni della torta di riso ligure, per l’estremo ponente potremmo prendere ad esempio la “torta verde”, spesso preparata mescolando riso e zucchette. In alcune zone interne del savonese, il ripieno comprende le bietole; nel genovesato il riso è quasi sempre cotto nel latte e non è accompagnato da verdure. Nel levante genovese si usa di frequente la prescinseua, mentre nello spezzino, seppur ci sia una certa eterogeneità nella preparazione, spicca per singolarità la versione col sugo di funghi dell’area di Soviore (Monterosso) o la variante “scema” del sarzanese e dintorni, nella quale il riso poggia su una pastella o su uno strato di pan grattato. Insomma, parlare di torta di riso ligure è comprensibile ma improprio, anche se questa estrema variabilità abilita in automatico ogni variante, e qualunque sarà la vostra preferita, avrà sempre la dignità di una torta di riso. Tuttavia, un consiglio culinario non può mancare. Il riso è un po’ maligno e tende ad asciugare. Perciò, se volete che il risultato finale restituisca una torta soffice e umida al punto giusto, oltre a controllare a dovere la cottura, curate la consistenza del ripieno che dovrà essere molto morbido. Quando vi sembrerà umido abbastanza, aggiungete un goccio di liquido, sia latte o ciò che preferite. Non sbaglierete.
Torta di Riso… finita!!!
Torta di riso… finita! E’ uno dei tormentoni comici più famosi in assoluto e a distanza di quasi 15 anni dalla sua uscita è ancora una delle frasi più utilizzate per stigmatizzare un’accoglienza, diciamo così, un po’ rustica. Ma come nasce questa fortunata parodia? Siamo andati a trovare gli autori.
Qui potete leggere la storia del tormentone.