Sori è uno dei tanti comuni liguri per i quali lo splendido affaccio sul mare è solo la minima parte di un territorio prevalentemente montuoso. A pensarci bene un privilegio non da poco. Dall’ampia spiaggia affacciata sul Golfo Paradiso, origina una profonda valle contornata da versanti che giungono fino al primo spartiacque appenninico. Per dirla in sintesi, si va dalla battigia ai crinali in meno di mezzora.
Quei pendii talvolta ripidi, spesso terrazzati nel corso dei secoli, sono stati curati e coltivati da generazioni di contadini e allevatori. Niente macchinari, nessuna stalla futuristica, roba da uno o due capi bovini per famiglia, talvolta qualche pecora o capra, ortaggi, frutti e cereali in misura contenuta, ulivi ovunque possibile, castagni in alto e prati pascoli lungo i crinali. Eppure Sori è una cittadina di mare conosciuta soprattutto per la spiaggia, ma il bello della Liguria sta proprio nella verticalità che regala varietà.
Questo territorio multiforme e talvolta aspro, oltre alla più rinomata attrattiva balneare offre numerosi itinerari escursionistici per bikers e camminatori che uniscono al piacere di stare nella natura il grande privilegio di traguardare sempre il mare. Chi ama pedalare o camminare su percorsi semplici o impegnativi, sa che la costante compagnia di un panorama mozzafiato è un conforto e una gioia continua. Sul mare questo piacere raggiunge l’incanto.
La varietà orografica di Sori e la tradizione divisa fra la vita marinara e l’agricoltura, hanno plasmato un’identità gastronomica basata su specialità talvolta singolari se non proprio uniche. Volendo farne sintesi si potrebbe citare almeno quattro capisaldi della cucina sorese: le trofie, i pansoti, le focaccette e la fainâ de granōn.
Le trofie stanno a Sori come la fontina sta alla Valle D’Aosta. Se proprio non vogliamo sostenere che siano nate nelle piccole valli alle spalle del borgo marinaro – ci sono dati a sufficienza per suffragare la tesi –, possiamo affermare con certezza che la loro epopea moderna ha preso avvio proprio qui, grazie ad alcuni commercianti “visionari” – fra i quali Novella – capaci di lanciarle sul mercato genovese attingendo dalla produzione familiare. Erano gli anni successivi al Secondo Dopoguerra. Le donne producevano le trofie nelle case, come avevano sempre fatto, ma anziché destinarle al solo consumo interno, o tuttalpiù al ristretto commercio locale, dovettero incrementare la produzione per far fronte alla richiesta del capoluogo. A Genova il termine “trofie” identifica da sempre gli gnocchi, e gli straordinari girelli che oggi tutto il mondo apprezza, si affacciarono sul mercato cittadino solo negli anni Sessanta, riscontrando da subito un notevole successo. Il resto è storia ormai conosciuta. Le trofie, spesso chiamate impropriamente trofiette, restano nel cuore dei soresi, tanto che la tradizionale produzione casalinga rimane tutt’oggi viva e praticata.
A fare il paio con le trofie sono certamente i pansoti. Quelli fatti solo con le erbe spontanee – non parlate ai soresi di prepararli senza il preboggion! –, roba quasi sacra, da queste parti: pasta sottile, forma panciuta, ripieno leggero, cottura veloce, insomma, una sciccheria! E poi è sufficiente citare i famosi pansoti di Santa Croce per far luccicare gli occhi ai soresi, una chicca che meriterebbe un articolo a parte…
Che poi qui un primato incontestabile lo hanno davvero, una di quelle specialità che sembrano riemergere da un passato lontano, fatto di cibi semplici e perfino rustici ma impareggiabili. La fainâ de granōn è una prerogativa di Sori. Ha l’aspetto di una sorta di polpettone per il quale gli ingredienti base sono la farina di polenta, ammollata in acqua o latte per alcune ore, le bietole e le cipolline in erba, entrambe crude e tagliate a listarelle, la prescinseua – per chi non la conoscesse, è cagliata leggermente acidula –, l’olio d’oliva e il sale. Mescolati gli ingredienti, si prepara una teglia come si fa col polpettone e si distende l’insieme passandolo poi al forno per una mezzora. È roba d’altri tempi, quasi un tuffo in un passato sorprendente. Sono convinto si tratti di una ricetta antica, probabilmente anteriore all’arrivo del mais e dunque preparata, in tempi lontani, con semola di ceci, per esempio. In ogni caso, per me si tratta di una rarità gastronomica di valore, anche se per i soresi è un prodotto del quotidiano, da acquistare nei negozi del paese o da preparare a casa, come si fa da sempre.
Ultime, non certo per importanza, le focaccette, sulle quali ci sarebbe da scrivere un libro.
A dispetto del nome che potrebbe ricordare analogie con la focaccia, si tratta di una sorta di grossi ravioli ripieni di stracchino da friggere e servire caldi. La loro principale caratteristica è che la pasta, sempre molto morbida, dev’essere senza lievito. Il resto della lavorazione ricalca all’incirca quella dei ravioli: si tira una sorta di sfoglia non troppo sottile, si stende sulla spianatoia, si dispone lo stracchino a piccole dosi distanziate equamente, si ripiega la pasta su se stessa e infine si pratica un taglio con la rotella per separare le singole focaccette. Prima di rimuoverle dalla spianatoia occorre premere bene i bordi saldando i due strati di pasta fra loro affinché lo stracchino non fuoriesca in cottura. Preparato l’olio ben caldo, si friggono avendo cura di rivoltarle affinché cuociano omogeneamente. Tutto facile, si dirà. Si, certo, scriverlo forse è semplice, prepararle a dovere richiede esercizio e manualità. Senza contare che ciascuna famiglia ha le sue “malizie”, chi nella preparazione dell’impasto, chi nel confezionare le focaccette, chi nel sistema di frittura. Insomma, sembrano tutte identiche, ma le piccole varianti di casa in casa rimangono. Capitolo a parte meritano le cosiddette fugassette in crescente, che presentano due differenze sostanziali rispetto alle “sorelle”: c’è lievito nella pasta e non contengono ripieno. In pratica, preparato l’impasto e formate le focaccette sottili a forma di grosso raviolo, si lasciano lievitare per poi friggerle in olio caldo. Subito dopo la cottura si possono farcire con formaggio, prosciutto o ciò che si preferisce, anche se in passato si mangiavano spesso come accompagnamento a cavolo nero lessato e salame. Entrambe le varianti spesso erano il cibo dei contadini impegnati nella fienagione. Raccontano i soresi che le mogli salivano sui crinali per portare il pranzo ai mariti e spesso preparavano loro le focaccette.
Quanto alla storia, pare che entrambe le varianti derivino dalla medesima ricetta arcaica. La leggenda più comune che ne fissa le origini rimanda al tempo delle incursioni saracene nei paesi costieri. Da queste parti si racconta che gli abitanti della costa si sarebbero rifugiati sui monti per sfuggire ai moreschi. Lassù avrebbero abitualmente preparato delle focaccette molto grezze, fatte di farina e acqua, cotte su piastre di pietra roventi e mangiate accompagnandole con formaggio autoprodotto. Nei secoli successivi sarebbe stata la formaggetta a finire all’interno delle più “moderne” focaccette fritte. Nella storia della cucina ligure, almeno quella codificata nei ricettari classici ottocenteschi, non si trova traccia di focaccette col ripieno di formaggio ma solo di focaccie colla salsiccia, all’incirca analoghe a quelle con lo stracchino anche se preparate con pasta lievitata. E chissà se le focaccette citate nei libri di conto della famiglia Da Passano nel 1826 erano parenti lontane di quelle di Sori. Difficile dirlo, poiché la voce sui registri non reca traccia di spiegazioni in proposito. Rimane il fatto che nelle case, nei ristoranti e in quasi tutte le feste delle numerose frazioni di Sori, si fanno le focaccette, e c’è un attaccamento a queste meravigliose specialità che ha qualcosa di commovente, come se scivolassero nell’olio bollente direttamente dalle mani delle bisnonne, assieme ai racconti di chi le ricorda con gioia e un po’ di malinconia. Sembra quasi che le focaccette rievochino chi c’era prima, le feste che queste semplici frittelle accompagnavano, i sorrisi, la gioia e il piacere di riunirsi attorno a un piatto semplice ma capace di scaldare il cuore.
La redazione ringrazia l’amministrazione comunale di Sori, l’Osteria Da Drin, la Salumeria Sorelle Olcese, il Pastificio Novella, le Ragazze di Lago, la confraternita N.S di Montallegro di Canepa, Tino Pagano, Carlo Casaleggio, Enrico Costa, Franco Parodi per la collaborazione nella stesura dell’articolo.
Sergio Rossi
I SENTIERI NELLA VALLATA DI SORI
Sono tanti i sentieri nella vallata di Sori, almeno una cinquantina di km, tutti curati con attenzione dall’associazione Amici Sentieri Golfo Paradiso. I tracciati ricalcano i sentieri e le mulattiere che in passato permettevano di raggiungere ogni punto del comprensorio. Taluni sono di particolare rilievo, come un tratto dell’ Itinerario Storico Colombiano che da Terrarossa di Moconesi (ora Terrarossa Colombo) arriva a Quinto. Lungo il percorso si incontrano i resti dell’hospitalis di San Giacomo di Pozzuolo, una sorta di antica foresteria attiva tra il 1200 e il 1500. Altrettanto importante l’ultimo tratto dell’antica Via del Sale che collegava la costa alla Pianura Padana. Da Varzi, passando da Capanne di Casola e Torriglia, giunge a Sori attraverso una delle sue diramazioni costiere. Info: Facebook Amici Sentieri Golfo Paradiso – https://amicisentierigolfoparadi.altervista.org/ da dove è anche possibile scaricare le tracce di alcuni percorsi.
I RISTORANTI DI SORI:
FRAZIONE SUSSISA:
- Trattoria Rosa
- Trattoria Luigin
FRAZIONE CAPRENO:
- Osteria Da Drin
FRAZIONE CANEPA:
- Trattoria Nestin
FRAZIONE SAN BARTOLOMEO:
- Trattoria Da Nanni
- Trattoria Da Armando
FRAZIONE SANT’APOLLINARE:
- Trattoria Al Serraglio
CENTRO SORI:
- Ristorante Pizzeria Il Boschetto
- Trattoria Edobar
- Ristorante Scandelin
- Ristorante Pizzeria La Battigia
- Il Focacciaio
RISTORANTI SULLA SPIAGGIA
- Bagni La Rotonda
- Bagni Savoia
- Bagni Checco
- Bagni Sillo
- Ristorante Benvenuti a Bordo