Se un vino venisse spogliato della sua grazia olfattiva, sicuramente non susciterebbe più alcun interesse. L’uomo ha una memoria visiva molto sviluppata: il ricordo di un’immagine, un paesaggio ad esempio, ci accompagna per tutta la vita. I vari profumi ed odori invece vengono facilmente riconosciuti se visivamente accostati ad un frutto, ad un fiore, ad un’erba aromatica o un qualsiasi altro aspetto ad esso correlato. Se i profumi si presentano da soli sono più difficili da riconoscere; l’olfatto quando viene stimolato da ricordi emotivi, non dimentica più quelle sensazioni che poi diventano istintive.
La mia meta è Bastia d’Albenga, terra di vigne e di erbe aromatiche, dove è più facile annusare, odorare, ricordare: la Liguria è sicuramente la terra madre delle erbe aromatiche, e Albenga, è una delle zone più vocate grazie soprattutto alla vicinanza al mare, alla brezza costante e alle catene montuose che la proteggono dalle intemperie e dai freddi rigori invernali.
Qui sorge l’Azienda Agricola Biologica Bio Vio (condotta da Giobatta “Aimone“ Vio, dalla moglie Chiara e dalle figlie Caterina, Camilla e Carolina) dove, nel rispetto dell’ambiente, si coltivano prodotti biologici ed erbe aromatiche di ogni tipo.
Tutta una famiglia unita dalla filosofia del biologico: la loro produzione, che spazia dalle erbe aromatiche, all’olio e al vino è caratterizzata da una qualità di aromi inconfondibili, da un’impronta e una filosofia biologica, vero e proprio stile di vita che guarda al benessere delle persone e dell’ambiente.
L’agricoltura naturale ci insegna che è possibile coltivare lasciando che sia la natura, nella sua complessità e nei suoi tempi, a produrre il risultato necessario con il nostro minimo intervento. Nel centro di Bastia c’è il piccolo castello di Giobatta Vio. Recuperato dal lento degrado del tempo, ora è diventato abitazione privata, cantina e agriturismo. Già nella piccola piazzetta antistante la cantina le erbe aromatiche pervadono l’aria con i loro profumi e la menta, la salvia, il rosmarino e il mirto fanno da contorno al lungo tavolaccio di legno dove Aimone e Caterina (l’enologa della cantina) mi accolgono con il loro calore e la loro passione. Sono già stato spesso loro ospite, ma ogni volta è un arricchimento di sapere, e una volta che li incontri, non te li dimentichi più.
È grazie a questa passione ed entusiasmo che i vini prodotti occupano uno spazio importante nella viticoltura ligure, caratterizzati da una qualità tale da essere premiati dalle migliori guide internazionali. Aimone ha ottenuto (primo in Liguria) il premio speciale “Viticoltore dell’anno 2017” dalla guida Gambero Rosso che lo ha definito “un viticoltore di grande talento e straordinaria passione”.
La storia della cantina ha inizio nel 2000 quando Aimone, provenendo da una famiglia di viticultori, decide di imbottigliare e commercializzare il loro prodotto. Oggi l’azienda vanta circa 9 ettari di vigna tutti collocati nelle zone più vocate (Salea, Ranzo, Campochiesa, le Marixe): tutte vigne contornate da piante aromatiche che poi si ritrovano con piacevole prepotenza anche nel bicchiere.
Tra una frittatina di funghi, una bruschetta al cuore di bue, i fiori di zucca ripieni, pane e olio nuovo, il primo bicchiere che porto al naso è una novità per la cantina: Essenza, questo è il nome scelto, quasi ad indicare un duplice aspetto: il primo più fantasioso che vuole riportare alla sostanza odorosa che si estrae dall’erba aromatica; il secondo, più attinente: la bontà nella sua sostanza profonda. Da uve pigato si ottiene questo vino senza solfiti aggiunti, né in fermentazione, né in fase di imbottigliamento, per lasciare intatta l’integrità dell’uva nella sua piena e ricca espressione aromatica: la vinificazione parte da una criomacerazione di ventiquattro ore: si raffreddano le uve per far sì che possano essere estratti gli aromi primari dell’uva presenti proprio nella parte interna della buccia; segue fermentazione con lieviti indigeni e successivo batonnage (rimescolamento delle fecce fini alla massa del vino in affinamento per conferire più profumi e intensità di sapori) per quattro mesi. Si presenta di un giallo paglierino acceso mentre al naso prevalgono sentori di frutta a polpa gialla, pesca, agrumi ed erbe aromatica della macchia mediterranea. In bocca è intenso, espressivo, fresco e dalla piacevole sapidità, persistente. Il Pigato al naturale da bere giovane.
Proseguo con il Pigato Marenè prodotto con uve provenienti dal vigneto “Marixe” a Bastia, criomacerazione e fermentazione in acciaio. Fin dalla prima olfazione i profumi fruttati di pesca e mela gialla, si uniscono a quelli dell’uva stessa, un susseguirsi di mandorla e erbe aromatiche, un agrume delicato e un tratto iodato. Al palato è avvolgente, caldo, ammandorlato, con cremosità e mineralità a spiccare negli opposti reparti.
Proseguo la mia piacevolissima degustazione, interloquendo con la sapiente Caterina e con Aimone: nel bicchiere si presenta il Pigato Bon in da Bon che ricorda nei profumi quelle erbe aromatiche che l’azienda coltiva: prodotto da una selezione del vigneto “Marixe” la cui uva viene raccolta in due tempi: la prima vendemmia a metà settembre, mentre una parte dei grappoli viene lasciata a surmaturare sulla pianta ancora per un mese circa. Dopo una criomacerazione di 24 ore, il vino sosta in acciaio per 9 mesi con batonnage frequente e 3 mesi di affinamento in bottiglia. Il risultato è un vino giallo paglierino intenso, con naso di fiori bianchi e un primo accenno di camomilla, poi si susseguono frutta a polpa gialla, erbe aromatiche (in primis maggiorana) con i profumi della schiuma di mare e uno sbuffo minerale che evolverà negli anni a venire. Il sorso è avvolgente, elegante, sorretto da una decisa acidità e sapidità, con buona persistenza e un finale piacevolmente ammandorlato. Si capisce che passati due anni, raggiungerà l’eccellenza evolvendo verso una grande personalità, che avrà il coraggio di sfidare il tempo, con splendide note minerali che ricorderanno, senza esagerare, i grandi vini bianchi francesi della Loira. Cosa abbinare a un vino così ligure nel DNA? Una torta verde di trombette oppure verdure ripiene alla ligure, ricche di maggiorana, patate e fagiolini.
Concludo la rassegna dei Pigati, col il Gran Père, prodotto da uve vendemmiate tardivamente, a metà ottobre, sempre del vigneto Marixe. Il mosto qui staziona a contatto sulle bucce per una settimana: il risultato è quello di avere un’estrazione di aromi decisamente esplosiva e un corpo importante. Affina 9 mesi in Tonneaux e 4 mesi in bottiglia. Giallo dorato, brillante, con riflessi ambrati. L’impatto olfattivo è notevole, per la qualità e quantità di profumi: fiori gialli ma anche glicine e biancospino, pesca gialla, albicocca e mango; poi si susseguono note di agrume candito, bergamotto, speziatura di pepe bianco, aghi di pino. La chiusura riporta l’arancia amara, una splendida macchia mediterranea e la sempre presente mareggiata. In bocca strutturato, caldo, equilibrato ed elegante, morbido al palato ma con una decisa spalla acida e una suggestione di sapidità che lo rende un vino di grande bevibilità. Vino molto versatile che si abbina ai piatti della cucina ligure sia di mare che di terra ma indicato con formaggi di media stagionatura e anche da meditazione. Il mio piatto consigliato? Risotto al pigato con tartare di gamberi rossi al profumo di arancia.
Pensavo di aver concluso e invece il vulcanico Aimone decide di allietarmi con due rossi: Rossese ‘U Bastio’ da uve rossese clone del Dolceacqua: profumi vinosi e di piccoli frutti di bosco, ribes e rosa canina, mentre al sorso è, morbido, elegante e persistente con tannini giovani e croccanti.
Poi la Granaccia Gigò vinificata in acciaio con rimontaggi giornalieri fino al termine della fermentazione. Una piccola parte, 10%, affinato in barrique e assemblato a quello in acciaio. Si presenta nel calice di un intenso color rubino venato di porpora. Il quadro olfattivo evidenzia sentori di viole e di frutti rossi che spaziano dalla fragola al ribes e alla ciliegia, con note speziate e macchia mediterranea, mentre in bocca è morbido, fine, elegante, intenso, con tannini morbidi e adeguata acidità.
Dulcis, ed è il caso di dirlo, in fundo, il passito di pigato, dal colore giallo dorato brillante, con un naso complesso che va dal miele, ai fiori secchi, alla frutta secca e disidratata (albicocca) allo zafferano. In bocca è strutturato con una acidità che nasconde bene il residuo zuccherino facendolo risultare per nulla stucchevole; finale persistente e gradevole, molto equilibrato.
In conclusione, quando al biologico ci credi non per seguire una moda, allora la conoscenza, la passione e l’individualità di uomini e vigneti, generano risultati unici. In questo caso anche splendidi.