Tartufo: la stagione del sapore

Sarebbe fin troppo facile ripetere che il tartufo è il re della tavola, che il bianco è il frutto più prezioso dell’autunno e che da secoli è considerato perfino afrodisiaco.

 In realtà si tratta dei soliti luoghi comuni che non rendono giustizia ai funghi ipogei. È vero, il Tuber magnatum Pico, o bianco, è il più pregiato fra i suoi simili, ma i tartufi nascono nelle nostre campagne – anche liguri, ovviamente – durante tutto l’anno e il calendario che ne regola la raccolta lo conferma. Allora facciamo un passo indietro e proviamo a tornare alla terra, anzi, sotto terra. I tartufi nascono lì, nel sottosuolo, e sono il frutto della “collaborazione” fra i loro semi, le spore, e le radici di certi alberi. Uno scienziato saprebbe spiegare la biologia complessa che scandisce la crescita del tartufo, ma forse non tutte le infinite variabili che possono favorirla o impedirla. Riducendo il ragionamento a qualcosa di comprensibile anche per chi, come me, non ha conoscenze profonde in tal senso, si può dire che ci sono alcune specie di piante vocate alla produzione dei tartufi. Diciamo, per esempio, il pioppo, la quercia, il nocciolo, tanto per citarne alcune. Nella stessa famiglia, però, non tutte sono tartufigene, dunque non è per nulla scontato che in un noccioleto o in un pioppeto debbano nascere i tartufi, dipende dall’attitudine di ciascuna pianta a “maritarsi” con le spore, i “semi” del tartufo, attraverso la parte apicale delle proprie radici. E per dire quanto sia interessante e articolata la complessa condizione che determina la nascita del tartufo, c’è un dettaglio intrigante legato, per esempio, alle cosiddette “piante comari”, certi alberi o arbusti che pur non essendo direttamente tartufigeni, si ritrovano spesso attorno alle piante che producono il tartufo, proprio come comari abitudinarie che assistono una gestante. Su tutto, però, emerge un elemento fondamentale che segna la linea di demarcazione fra la vita e la morte del tartufo: la qualità ambientale. Se un luogo non è sano, integro, non avvelenato da un’agricoltura sbagliata o da altre fonti d’inquinamento, si può dire addio a qualunque tartufo, che proprio per questo è considerato una sorta di marcatore ambientale, cioè il testimone vivente che quel luogo è pulito. 

Un aspetto altrettanto interessante riguarda lo strettissimo rapporto uomo-cane, facendo attenzione a non ricadere in una retorica ingrata quanto inadeguata. Ormai da secoli (prima la ricerca si faceva col maiale) i cercatori si affidano al naso del cane per scovare i tartufi, anche se ridurre il suo ruolo al solo olfatto è riduttivo. La ricerca, e tutto ciò che le sta attorno, è una scienza complessa, insondabile e mai appresa fino in fondo. Non credo esista un solo tartufaio, neppure il più esperto, che possa affermare di non avere ancora qualcosa da imparare. 

L’uomo e il cane devono vivere un rapporto quasi idilliaco, e spesso è così; si capisce dai gesti, dalle attenzioni, dagli atteggiamenti comuni e dagli sguardi. 

L’insieme di queste pratiche antiche, soggette alla trasmissione orale, tramandate talvolta di padre in figlio e comunque, sempre, direttamente, con l’esempio, sono così rappresentative e preziose da essere state candidate al riconoscimento Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità.

Talvolta ci si sente chiedere se anche la Liguria sia terra di tartufi, perché in gran parte dell’entroterra la cultura della ricerca non è mai stata tanto diffusa. La mia risposta è sempre la stessa: il tartufo nasce dovunque non crederesti possa trovarsi ed è proprio per questo che la scienza della ricerca è tale, perché il cane ci mette il naso, l’attitudine e un bel po’ di testa, ma sempre se è stato ben istruito dall’uomo, il quale, poi, deve conoscere i luoghi, valutare il tempo, ponderare le situazioni contingenti, riconoscere le condizioni ambientali favorevoli, registrare le esperienze, i tempi di maturazione dei tartufi e mille altri dettagli che fanno di un cercatore un buon tartufaio. A proposito di maturazione, questo fattore è determinante per trovare i tartufi. Nella sua natura di fungo ipogeo, il tartufo adotta uno stratagemma per garantirsi la riproduzione che altrimenti non sarebbe per nulla scontata. Al momento della maturazione, quando è pronto a diffondere le sue spore, emette il classico odore che lo ha reso famoso. In tal modo, le creature selvatiche che popolano il bosco, in particolare certi piccoli roditori, attratti dal profumo penetrante, scavano fino a scovarlo, lo estraggono da terra e propagano le spore, un po’ come se eseguissero una sorta di “semina” che poi, se tutto andrà bene, darà vita a nuovi tartufi. L’uomo e il cane ci hanno messo letteralmente il naso e si son “fregati” i tartufi, ma il corso naturale originale sarebbe quello, che peraltro rimane tale quando i roditori, i cinghiali ecc. arrivano per primi.

In Liguria i tartufi ci sono, e sono ottimi. In particolare, in Val Bormida si concentra un buon numero di tartufai – peraltro, proprio a Millesimo si tiene la Festa Nazionale del Tartufo, giunta quest’anno alla 28° edizione –, anche se la ricerca è estesa a tutta la regione. Come dappertutto, la caccia al tartufo è disciplinata da un regolamento puntuale che fissa sia il calendario di raccolta per le diverse specie, sia le regole per la ricerca. Per diventare tartufai occorre superare un esame per il rilascio del relativo patentino. 

La destinazione gastronomica del tartufo fissa un principio generale piuttosto condiviso, seppur non assoluto: il tartufo bianco si gusta crudo, il nero si cucina. In realtà se il bianco è inconfondibile, di nero ce ne sono diverse specie e dunque la definizione è alquanto impropria, ma vale sempre la cautela di cui sopra, cioè semplificare i concetti senza banalizzare. Volendo invece sottilizzare, gli esperti tartufai sanno perfino distinguere, per esempio, da quali tipologie di piante provenga un tartufo bianco secondo le sue caratteristiche estetiche, ma siamo nelle disquisizioni da veri specialisti che potremmo paragonare ai dettagli scientifici legati al processo evolutivo che dalla spora porta al “corpo fruttifero”…

A volte viene da pensare che il tartufo, come semplice frutto della terra, non avrebbe mai desiderato tutta questa notorietà e invece da secoli si ritrova sotto i riflettori. Suo malgrado ha stimolato la stratificazione di un sapere, tanto pratico quanto raffinato, che oggi riassume il suo valore in un’autentica arte. La ricerca del tartufo è un concentrato di conoscenze che assieme confluiscono in una passione irresistibile. Poi, a tavola, il frutto di quella passione si sublima nel piatto per entrare nell’anima.            

CONOSCERLI PER COMPRARLI

La nostra casa editrice vi propone il libro “Tartufi di Liguria” per approfondire la conoscenza di questo delizioso fungo ipogeo acquistabile on line sul sito www.sabatelli.it. Per l’acquisto del tartufo nostrano Liguria Food vi consiglia di rivolgersi alla “Bottega dei Sapori” di Millesimo (Tel.338.1931806) che da anni è specializzata nella vendita dei migliori tartufi della Val Bormida.

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