La ristorazione vive un momento di seria difficoltà.
Purtroppo c’è chi ha già dovuto chiudere definitivamente, altri sono molto vicini al tracollo e restano in piedi vivendo alla giornata fra annunci, propositi e ritardi nell’erogazione dei cosiddetti “ristori”, per non parlare di collaboratori e fornitori anch’essi in grande sofferenza. Eppure il comparto del cibo, già così importante nella struttura sociale italiana, è fondamentale anche per il turismo, dunque merita la massima attenzione. Prima o poi il mondo si rimetterà in moto e ci si deve attrezzare fin d’ora per affrontare la auspicabile onda d’urto del ritorno turistico.
Oggi l’obiettivo è sopravvivere limitando al massimo le perdite, ma per farlo non basterà la notevole capacità di adattamento messa in campo dalla ristorazione, occorrerà un sostegno concreto, diretto ed efficace alle imprese affinché possano sopravvivere e, soprattutto, affrontare i cambiamenti e le innovazioni che riterranno di adottare per programmare l’attività del dopo pandemia. Gli scenari non sono così chiari. Da un lato si profila una crescita esponenziale del mondo del cosiddetto delivery, almeno secondo le tendenze emerse da diversi studi attuali. Dall’altro, proprio in virtù di queste proiezioni, le grandi compagnie del food delivery stanno programmando e investendo sulla produzione diretta del cibo finalizzata alla consegna a domicilio. Chissà se l’attività delle cosiddette dark kitchen, cioè i laboratori attrezzati che le grandi compagnie stanno allestendo, nei prossimi anni vivrà davvero una forte espansione. Di certo l’attenzione è alta e il mondo del cibo si sta preparando alla sfida. Un esempio tutto ligure è Zenasporto, il nuovo servizio di prenotazione e consegna di pranzi e cene ideato, realizzato e gestito interamente da aziende genovesi. Ogni menù è composto da portate diverse proposte da altrettanti ristoranti. Una bella iniziativa scaturita da quattro giovani mossi dal proposito di chiudere una sorta di filiera locale del delivery facendo rete (per info: zenasporto.it).
Se la reattività e la prontezza in questi momenti diventano fondamentali, noi siamo pur sempre l’Italia, il paese dove “si mangia bene”, si preferisca l’ambiente raffinato del ristorante esclusivo o il contesto familiare e talvolta rustico della trattoria di campagna o dell’agriturismo. Le migliaia di ricette tradizionali, declinate su infinite varianti locali, rimangono il fulcro del rituale familiare del cibo. Quel meraviglioso mosaico di sapori che spontaneamente il nostro paese sa offrire, è quanto di più attraente si possa proporre al visitatore. Abbiamo la responsabilità di rimanere un punto di riferimento planetario quanto a cibo, cucina e ristorazione. Ciò non ci consentirà di invertire la rotta riguardo alla tendenza attuale verso la crescita del delivery, ma sarà fondamentale per contenere e limitare il fenomeno. Non tanto per contrastarlo, ciò che non avrebbe senso, né efficacia, ma per rafforzare l’unica, vera alternativa credibile e coerente, la ragione stessa che fa apprezzare il cibo italiano nel mondo, oltre alla sostanza, cioè il piacere del convivio, la scoperta dei prodotti, dei sapori, degli abbinamenti, dell’accoglienza, dell’essere coccolati e “viziati” per il tempo di un pranzo o di una cena. Tutto ciò contribuisce a lasciare il miglior ricordo da portare a casa, il buon retrogusto delle esperienze indimenticabili.
Per tutte queste ragioni, il mondo della ristorazione, e la galassia che lo sostiene e lo alimenta, dunque l’agricoltura, l’allevamento, la pesca, l’artigianato alimentare e i servizi collegati, deve essere destinatario delle massime attenzioni da parte delle istituzioni nazionali e locali. Se il turismo contribuisce al Pil per circa il 13% (2019), una frazione rilevante di questo valore economico è proprio da ascrivere al comparto enogastronomico. E come è capitato negli ultimi anni, anche in futuro l’attrattività enogastronomica sarà decisiva nell’orientare le scelte dei visitatori.
Sarebbe forse sbagliato impostare la politica enogastronomica solo sul turismo, si potrebbe rischiare di perdere un’identità profonda e datata che costituisce uno fra i patrimoni più rilevanti della nostra cultura materiale. Dobbiamo solo valorizzare questo lascito, consolidarne le fondamenta e rafforzarne la coscienza per presentarlo al mondo rigenerato, ancora più forte e convincente. Il materiale c’è, le competenze pure, la volontà si percepisce forte e aumenterà proprio come reazione all’incubo che vedremo allontanarsi. Gli sforzi e i sacrifici nei quali dovrà impegnarsi il mondo dell’enogastronomia, richiederanno l’appoggio di una classe politica all’altezza della situazione, capace cioè di fornire gli strumenti, il sostegno e le semplificazioni necessarie per affrontare la sfida, puntando anche su una sinergia nuova, forte e convinta fra imprenditori e amministratori pubblici.
Qualunque visione si abbia della società civile, l’imprenditoria sana ha un posto fondamentale in uno scenario di benessere diffuso. La ridistribuzione delle risorse e delle ricadute, oggi più che mai dimenticata, come risulta ancor più evidente in tempo di pandemia (ricavi da capogiro per le grandi multinazionali dell’e-commerce), deve tornare a porsi al centro di illuminate dinamiche sociali. Il comparto enogastronomico vive di sana eterogeneità e fonda proprio su questo valore la sua forza più dirompente. Inoltre, il consistente volume d’affari che è capace di generare, viene ridistribuito a tutta la filiera che alimenta, come un organismo vivente per il quale è fondamentale ogni singola cellula.
Sotto il profilo occupazionale, il disgregarsi di un sistema consolidato come quello della somministrazione, comporta una grave dispersione di professionalità costruite e modellate sulle necessità e sugli stili delle differenti aziende. Ogni specializzazione curata nel tempo, costituisce un valore consistente in termini di patrimonio professionale o “capitale umano” complessivo che contribuisce a far crescere la qualità del comparto di riferimento. Chi è abituato ad aprire tutti i giorni la serranda, affrontando i rischi, le incertezze e i sacrifici che l’impegno imprenditoriale comporta, ha bisogno di lavorare, ha scelto di farlo, e persevera nonostante i momenti non certo incoraggianti. Ma chiede certezze! Occorrono provvedimenti puntuali, coraggiosi, lungimiranti e perfino “visionari”, pena la perdita di una fetta rilevante della nostra identità gastronomica.
Sarà lo stimolo a stringere i ranghi, rafforzare i rapporti, migliorare i dettagli per salvare ogni sfumatura di uno straordinario patrimonio che tutto il mondo ci riconosce e ci invidia.
Ora si è ripartiti – seppur parzialmente –, sempre viaggiando a vista. Per le feste natalizie niente cene aziendali o fra amici, nella speranza di evitare un nuovo confinamento ma con le ossa ancora più rotte e un peso insostenibile per l’intero comparto della ristorazione e del turismo. Gennaio e febbraio sono sempre stati i mesi del riposo, dopo le “abbuffate” natalizie; oggi, l’imperativo categorico è che diventino il momento del rilancio, per il bene di tutti.
Sergio Rossi