Addio a Loup Garou

Assicuratore per professione, vignaiolo per amore, intraprendente per vocazione. Stefano Legnani ci racconta l’ultima evoluzione del suo Vermentino.

In Bradia dove è (ri)nato per amore di Monica, Stefano Legnani ci è arrivato con le idee chiare di chi sa esattamente cosa deve fare e come: il vino, “alla maniera dei nostri cari vecchi”. Ma, come spesso accade, sapere cosa e come si deve fare qualcosa non basta, bisogna indagare, entrare dentro le cose e capirne concretamente passaggi e operazioni. Qui sta l’incipit dell’intraprendenza di Stefano, quella che lo porta a capire la sostanza di quello che avrebbe dovuto fare fino a svilupparne la visione. E questa è la storia di Loup Garou. 

«Quando venivo a Sarzana da Monica – racconta Stefano – facevo qualche giro per le case dei contadini qua intorno, quasi tutti avevano un piccolo vigneto, allora gli raccontavo di essere un appassionato di vino, di voler venire a vivere in queste terre e chiedevo di poter assaggiare un po’ del loro vino. La reazione immediata era difensiva, dicevano di non venderlo più, ma riuscivo quasi sempre, alla fine, ad assaggiarne un bicchiere». 

Stefano racconta di vini tra loro molto differenti, alcuni buoni e altri, seppur per certi versi al limite di quella che oggi è considerata “bevibilità”, celavano comunque qualcosa di importante.  

«Quasi tutti – prosegue Stefano – raccontavano che il vino della festa veniva tolto dalla vasca alla fine dell’estate, cioè poco prima di riutilizzarla, perché il vino doveva prendere il freddo dell’inverno e il caldo dell’estate prima di andare in bottiglia». 

Ecco questo era il mantra. Realtà? Semplici dicerie? Valeva la pena provare. 

Così già dalla prima vendemmia e fino ad oggi Stefano prepara la vasca con le uve del suo Vermentino per crearne due vini diversi: Ponte di Toi e Loup Garou. Fermentazione spontanea, lieviti indigeni, no filtrazioni, no chiarifiche, solo acciaio. 

Quello che li differenzia è che Loup Garou, dopo l’imbottigliamento di Ponte di Toi, rimane a contatto con il feccino per qualche mese di più senza nessun controllo della temperatura. Poi, a differenziarli, ci sono i tempi di imbottigliamento e l’influenza della luna. Per capirne gli effetti, Stefano fa diverse prove: imbottiglia Ponte di Toi a marzo e Loup Garou ad agosto, poi maggio – agosto, giugno – agosto e ancora luglio – agosto con differenze quasi impercettibili, così torna alla versione più convincente: Ponte di Toi a giugno e Loup Garou ad agosto. Loup Garou va in bottiglia nel 2011, 2013, 2015, 2016 e 2019. Cinque anni e poche migliaia di bottiglie sparse in giro per il mondo. Se ne avete bevuta o conservata qualcuna siete certamente fortunati. 

Risultato di anni di prove empiriche è che «questa cosa che mi dicevano – dice Stefano – in questo territorio, con queste uve, con queste caratteristiche climatiche, funziona».  

Loup Garou, (per dirlo alla maniera di Willy De Ville a cui è dedicato il nome della bottiglia), è un vino con la grinta del lupo mannaro e la delicatezza della luna, è un vino che stravolge e sorprende. Nel bicchiere è cristallino, al naso è una cornucopia di sentori che non deludono il palato. 

Merito dell’intraprendenza e di quella capacità di visione di Stefano, quella spinta che hanno alcuni ad andare sempre un passo oltre: è così che quando sembra arrivato a risolvere l’equazione, si chiede: perché, se il metodo raccontato funziona, riservarlo a qualche migliaia di bottiglie? 

È così che Stefano stravolge il risultato dell’equazione, cambia le variabili; in qualche modo cambia quello che è il suo personalissimo disciplinare.

Opta per un matrimonio tra Loup Garou e Ponte di Toi; la vasca 2020 del Vermentino di Stefano avrà una sola vita, e tutto riposerà lungamente sul suo feccino così come accadeva per Loup Garou e prenderà tutto il freddo dell’inverno e il caldo dell’estate per andare in bottiglia gli ultimi giorni di agosto. 

Quello di Stefano è un arrivederci a settembre con un vino che non sarà più Loup Garou ma l’evoluzione di Ponte di Toi, un‘evoluzione figlia di quei racconti, frutto dell’esperienza di quelle generazioni e della sua. Un Ponte di Toi diverso, più ricco, più fine, ma sempre un lupo, un po’ meno mannaro. Forse viene da chiedersi se questa scelta faccia parte di un processo di maturazione, ma Stefano non la vede in questi termini « vorrebbe dire di sapere le cose e non è così –  è piuttosto la continuazione di un pensiero, quel pensiero che mi ha condotto fino a qui; è il risultato di quel mantra per il quale il vino deve prendere il freddo dell’inverno e il caldo dell’estate, quindi semplicemente si tratta di portare avanti qualcosa che pare funzionare, aprendosi al contempo ad una nuova avventura ». 

Come sarà davvero il prossimo vino di Stefano? Credo che lo scopriremo con lui. 

Di sicuro quello che abbiamo scoperto con Stefano è il potere della (ri)nascita come una continua e costante e appagante capacità di mettersi in gioco.

Elisa Alciati

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