Eccolo il nostro biscotto condito, monumento “barocco” di mare e orto…
Il cappon magro (in origine quaresimale, lo rivela il nome) non è un’insalata, ma un artusiano mosaico* di pesci, crostacei, mitili, verdure, uova, legati dalla salsa verde o – meno fastosamente – da olio, aceto e limone. Ed eccolo, per ardimentose prove casalinghe (dato che nei ristoranti non si trova che di rado…), già in un menu dialettale del 1901: aragosta, pescio fin, scorsonnea, pigneu, musciamme, loassi, porpi, gambai, oje, ancioe de lamme, stecconetti a fa coronn-a (una curiosità, tuttavia: un tempo le aragoste non erano tenute in gran conto, editti carlofortini del 1820 le posizionavano fra il pescato meno costoso).
Esso originerebbe – sottolineo il condizionale – dalle capponadde e dai capun galera/carbunera di bordo, diffusisi subito lungo il litorale di Camogli (GE) e imperiese, anche per non gettar gli avanzi. Peraltro, Vincenzo Agnolotti – “cuoco, credenziere e liquorista” – pubblicò nel 1814 a Roma un celebre ricettario in cui figuravano preparazioni analoghe. Piatto freddo, oggi anche natalizio, non esiste ricetta unica, con buona pace sia del Santuario dei marinai in San Francesco da Paola a Genova, sia dei cuochi francesi che talora se ne autonominarono inventori. Occorre privilegiare pesci che tengano la cottura, e il pesce cappone in Liguria è in genere scorfano (rosso), il re delle zuppe di pesce. Le verdure, da cuocersi ognuna separatamente, danno colore, così come ostriche, olive ecc. sono decorative (peraltro le olive mi paiono fra gli ingredienti meno “filologici”). Le gallette – o meglio il pan biscotto… – vanno bagnate in aceto e vino bianco, e al piatto si abbina egregiamente (malgrado proprio l’aceto…) un Vermentino, o una Bianchetta, a 11°C in tulipani a stelo alto, ma fuori Liguria ad es. una Falanghina campana, uno Chenin Blanc di Loira…
Giobatta Ratto, a me caro, nella sua “Cuciniera” ottocentesca che rivaleggiò con quella coeva del Rossi (finché tal Emerico Calvetti trasse una sintesi di entrambe), per la salsa verde adopera il pistacchio, e opziona altre varianti rispetto alla ricetta oggi comune. Ed ora percorriamo più nel dettaglio, amico lettore, proprio alcune di queste diacronie che t’appassionano. Scrive il Ratto (1863) “Come i ravioli sono la regina di tutte le minestre, così il cappon magro, quando sia ben confezionato, è la migliore di tutte le insalate”. È classificato in “guarnizioni e piatti di verdura”. La salsa deve essere abbondante e, circa il pesce, Ratto impone anzitutto pesce di prima qualità, e che sia pesce lupo (loup/löasso, ovvero branzino) o nasello (merluzzo) o ombrina. Il testo rivela anche attenzioni estetiche, e consiglia al termine un piatto tondo o ovale (si pensi alle classiche fiammenghille), a piacere.
1865, per Emanuele Rossi il cappon magro si colloca fra le “insalate”. È consigliato il pesce ragno (tracina), oppure nasello o ombrina. A differenza delle ricette già note, i gamberi di mare vengono fritti in padella con olio, certo rendendo il piatto meno digeribile. La salsa è una salsa piccante composta (spiegata nella prima parte del ricettario), che nasce come sempre nel mortaio. Per servire, Rossi privilegia piatto profondo o insalatiera.
Nel 1880 anche Padre Gaspare Stanislao Dellepiane in “La cucina di strettissimo magro” inserisce la ricetta fra le ”insalate”. Innanzitutto prepara la salsa verde con pestello e mortaio. Ancora una volta come base usa biscottini di semola strofinati con aglio e ammorbiditi in una soluzione di acqua, aceto e sale. Poi procede alla lessatura delle verdure. Il pesce è a discrezione del lettore purché sia “pesce da taglio” (pesce di grandi dimensioni che normalmente si vende a fette) come ad esempio ragno, ombrina, merluzzo o milandro (nel Ratto il mêuanto è un pesce primaverile-estivo di terza qualità, da friggere o usare a bracioletta con salsa). L’accortezza stia nel creare una sorta di piramide che infine venga ricoperta di salsa così da “farla comparire come un prato vellutato di verde”. Inoltre, Padre Dellepiane presenta altre 3 ricette molto ridotte: il cappone magro economico, il cappone di galera e il cappone magro alla giardiniera.
Del poeta scapigliato Olindo Guerrini, meglio conosciuto come Lorenzo Stecchetti, si pubblica postumo “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa” nel 1918 in cui si può leggere anche di un cappon magro alla genovese. Il poeta, devoto anche alla farinata della “Bedin” in piazza Ponticello a Genova, s’ispira talora a ricette di Ippolito Cavalcanti, ma le attualizza.
Aldo Acquarone (1898-1964), i cui versi celebrano anche la cima (pardon, a çimma), al cappon magro dedica addirittura un sonetto, una vera e propria ricetta di cui su Liguria Food pare superflua la traduzione: “Bagna in te l’ægua e axàu poche gallette / e versa addosso a queste cian cianin / tûtte e verdúe boggïe a tocchi e a fette, / ûn cöu-sciô, de giærave, faxolin, / da scorsonæa, patatte, due çioulette, / carotte, sèllao, fette de sûcchin / e azzònzi, pe’ fâ e cose ciù perfette / anche ûn pescio cappon a tocchetin. / Poi con a salsa verde ô se condisce / con molto êuio e axòu in dose giûsta / e quando ô l’è ben verde, ô se guernisce / con funzi, gàmbai, êuve, anciöe e olive / e s’ha ûn capolavoro che chi ô gûsta / s’òu deve ricordâ… finn-a ch’ô vive!”
Nino Bergese, protagonista assoluto della gastronomia genovese del 2° dopoguerra, da giovane aveva cucinato per ambienti facoltosi del Piemonte, successivamente condusse nel centro storico della Superba (vico Indoratori) il mitico ristorante “La Santa”, due stelle Michelin già nel 1969. Nel libro “Mangiare da re”, edito da Feltrinelli proprio nel 1969, raccoglie più di 500 ricette divise in sezioni, dalle basi di cucina ai dessert. Il cappon magro è l’unica a far capo al titolo “antipasti e piatti di mezzo” svelando l’inclinazione di Bergese circa questo capolavoro.
“Pesto e Buridda”, scritto a quattro mani da Dario G. Martini e Ferrer Manuelli nel 1975, dedica l’ultima parte alle “100 ricette dell’oste di prua”, ovvero Ferrer Manuelli medesimo, cuoco savonese della “cucina a vela”, primo ospite – inconfondibili le sue bretelle – delle via via fortunatissime trasmissioni tv di Gino Veronelli, quelle per intenderci che inaugurano la telecucina segnando i primi anni ’70, anche grazie alla verve di Umberto Orsini, Delia Scala e Ave Ninchi, con intere famiglie incollate allo schermo RAI in bianco e nero (musica di Fred Bongusto). Incontriamo il cappon magro nei “pesci, crostacei e molluschi”. Esplicito il riferimento all’“olio d’oliva vergine ligure di frantoio”, fondamentale poiché si usa anche come condimento a fine preparazione. Ma Martini e Ferrer si soffermano perfino sul “buon effetto coreografico” grazie all’aggiunta di olive, funghetti e di ciò di cui ancora si disponga. Consigliano infine di riposare la portata prima di servirla.
Aidano Schmuckher scrive nel 1978 “La cucina di Genova e della Liguria dall’A alla Z”, “antologia” in cui riporta alcune ricette già nel precedente “La vera cucina di Genova e della Liguria”, arricchendole con note di folklore e cultura locali, di cui è specialista. Il suo cappon magro non differisce dalle primissime ricette se non per pochi dettagli. Non è indicato pesce specifico, l’aragosta deve sì essere lessata, ma poi tagliata a pezzi. Da notare il ravanello.
Nel 2003, infine, appare anche “La cucina fra creatività e tradizione” di Angelo Paracucchi, genio cui Ameglia, e la Lunigiana, debbono molto. Qui il cappon magro si trova nei “pesci”. Paracucchi utilizza la razza, il cappone di mare e i gamberoni, che devono cuocere separati. Per la salsa verde, chiamata salsa al prezzemolo, si frullano prezzemolo e lattuga con aggiunta di olio, aceto, sale e pepe bianco: non v’è alcun cenno al – solitamente – preferibile utilizzo di pestello e mortaio.
* non mi si fraintenda: Artusi realizza al n. 134 la salsa verde, ma nel suo manuale non include né cappon magro né pesto.
Umberto Curti