Cannucce di plastica e fase due. Le cannucce colorate che tutti abbiamo usato in un cocktail del sabato sera, un succo di frutta per i bambini, una granita d’estate. Ebbene, saranno c-i-n-q-u-e-c-e-n-t-o gli anni necessari per lo smaltimento di una di quelle cannucce. Quindi sì, l’annoso problema a legare le cannucce di plastica e la fase due fatta di mascherine, guanti, kit monouso e packaging takeaway, è l’inquinamento. Produciamo ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, moltissima di questa non riciclabile, come le posate. Produciamo una quantità di plastica tale che nemmeno il sistema di riciclo è in grado di assorbirla tutta. I rifiuti delle spiagge sono quasi interamente e ancora una volta, plastica. Il mare ne è invaso. Una gigantesca microplastica invisibile. Un nuovo componente della catena alimentare, una nuova parte di noi, provocatoriamente potremmo parlare di un nuovo ingrediente della dieta mediterranea. Un elemento a triplo impatto: inquiniamo per produrla, inquiniamo per smaltirla e quando non la smaltiamo inquiniamo il mare, o i pesci, o noi stessi. E nel frattempo emettiamo tonnellate di CO2. Ma c’è il Covid e c’è la fase due. Ora veniamo alle cannucce, alla fase due e al perché Liguria Food ha deciso di affrontare questo argomento. Se c’è una cosa che questo maledetto virus ci ha ricordato (casomai ce ne fosse stato bisogno) è che la sopravvivenza del nostro Paese, e ancora più quella della nostra Regione, è saldamente, intrinsecamente e inesorabilmente, legata al grande motore del turismo, con tutte le attività ad esso interconnesse. Allora osservando l’enorme scia di rifiuti che la fase due sta portando con sé non potevamo non chiederci e non chiedervi cosa ne sarà del nostro bel paese, del nostro mare e ancora una volta del nostro turismo se sarà rovinato, magari per secoli, da una gigantesca macchina dell’inquinamento che non riusciamo ad arrestare? Perché il Covid si è portato dietro le mascherine, i guanti e i vari monouso, elementi tutti in cui plastica e spazzatura regnano sovrani; e non sappiamo quanto durerà la fase due, ma quello che sappiamo con certezza è che una cannuccia di plastica fra trecento o quattrocento anni sarà ancora li. A ricordarci i nostri errori. In un momento difficile e di emergenze come quello che stiamo vivendo rimane fondamentale non perdere l’importanza del quadro generale dei problemi che, non appena superato questo difficile momento, torneranno a presentarci il conto. Così, mentre Coldiretti parla di un vero e proprio trionfo del takeaway e di un italiano su tre che acquista cibo da asporto quotidianamente accadono due cose: una buona l’altra, talvolta, meno. Si alimenta il lavoro di milioni di persone, ma spesso, si alimentano anche i rifiuti di plastica o non riciclabili. Allora in un periodo come questo ci siamo chiesti quale potesse essere il nostro contributo, un contributo trasversale, che potesse guardare al quadro generale, in un momento in cui riuscire a fare scelte responsabili appare cruciale. Perciò vi segnaliamo che in Liguria oltre a magnifici paesaggi, buon cibo e buon vino abbiamo anche eccellenti aziende che si occupano di dare al settore alberghiero e ristorativo prodotti a basso impatto ambientale. Noi abbiamo conosciuto Naturdet, un’azienda nata dalla volontà, di Nicola Caldana figlio e nipote di albergatori e ristoratori, di rendere le imprese turistiche sempre più sostenibili a livello ambientale ed economico, proponendo un modello di consumo sostenibile. Per esempio con packaging takeaway, bicchieri, piatti, posate prodotti con materiali “eco-friendly” in grado di biodegradarsi nell’ambiente o in mare (perché tanto ormai lo sappiamo quanti rifiuti finiscano in mare) in condizioni naturali. Ma quando un materiale si definisce compostabile? Secondo la norma EN 13432, un materiale per definirsi “compostabile”, deve possedere le seguenti caratteristiche: – degradarsi almeno del 90% in 6 mesi se sottoposto ad un ambiente ricco di anidride carbonica; – a contatto con materiali organici per un periodo di 3 mesi la massa del materiale deve essere costituita almeno per il 90% da frammenti di dimensioni inferiori a 2 mm ; – non deve avere effetti negativi sul processo di compostaggio; – deve avere bassa concentrazione di metalli pesanti additivati al materiale, valori di pH e contenuto salino entro i limiti stabiliti; – deve avere concentrazione di solidi volatili, azoto, fosforo, magnesio e potassio entro i limiti stabiliti. E per quelli che ancora: “eh ma la plastica!” … sapevate che: – i bicchieri e le cannucce in PLA per bevande fredde resistono fino a 40°C e non si rompono facilmente; – i bicchieri in cartoncino + PLA tengono bene il caldo (fino a 80°C) e non ci si brucia tenendoli in mano; – i piatti in polpa di cellulosa oltre all’ottima tenuta termica (80°C), possono essere messi nel microonde, senza il rischio che si sciolgano o rilascino sostanze indesiderate; – le posate in Mater-Bi tengono fino agli 80°C senza problemi.
Mancava solo il parere di qualcuno qualificato del settore ristorativo, così abbiamo chiesto ad Antonella Cheli imprenditrice in Portovenere con i suoi due locali Il Timone e L’Osteria del Carugio ed anche vicepresidente di Confartigianato La Spezia, che sulla questione Covid, plastica e monouso ci ha detto: «Il Covid ha segnato decisamente un perdita di terreno rispetto al raggiungimento dell’obiettivo “plastic-free”, portando una deviazione rispetto al percorso prestabilito per l’eliminazione della plastica. Ma credo anche che questo sviamento portato dal Covid non sia dovuto al fatto che si sia sentito meno importante il problema dell’inquinamento ma solo meno pesante nel momento specifico. Tuttavia sono convinta che la sensibilità delle persone che operano nel settore e quelle che gravitano intorno ad esso, rimetteranno energicamente l’accento su questo punto». Ecco il quadro generale. Le soluzioni sono, evidentemente, tante e certamente, di qualità non inferiore alla plastica. Salvarci, ancora una volta e come sempre, sta a noi.
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