Questa è una storia di soli 10 anni, ma è piena di contenuti: siamo ad Acquetico, piccolo borgo di case nel comune di Pieve di Teco, capoluogo della Valle Arroscia, luogo di congiunzione tra il basso Piemonte e la provincia di Imperia.
Mentre lo sguardo si perde ad ammirare un paesaggio che spazia dalle Alpi imbiancate fino al mare, ad Acquetico è anche possibile scorgere filari pettinati di viti. Siamo nella zona di elezione dell’Ormeasco di Pornassio, vitigno importato in Liguria dal vicino Piemonte e geneticamente appartenente alla stessa famiglia del Dolcetto; la sua coltivazione nell’Alta Valle Arroscia è documentata già dal 1303 quando il Marchese di Clavesana, governatore delle terre, con un Editto ordinò, pena la decapitazione, di impiantare nel suo feudo solo questa varietà. Coltivare l’ormeasco risulta difficile in quanto i grappoli spargoli sono soggetti facilmente alla cascola, e, vista la loro dolcezza, vengono attaccati da storni e vespe, e ancor peggio dagli animali selvatici che vivono nei boschi attigui. Oltretutto la conformazione morfologica del territorio fa si che le viti vengano piantate in fazzoletti di terra strappati ai boschi, coltivate in zone impervie poco atte a ricevere meccanizzazione, costringendo il vignaiolo ad eseguire quasi tutte le operazioni manualmente. Benché siano evidenti le difficoltà, c’è chi ha deciso di compiere un atto coraggioso e di gettarsi in una nuova avventura, quella di ritornare ai campi e alla propria terra. Ce lo dimostra una coppia, Eliana Maffone e suo marito Bruno Pollero.
La storia data il 2009: Bruno, manager di una multinazionale, decide di tornare a coltivare la terra, alla cura dei vigneti del bisnonno della moglie Eliana; la sua famiglia era da sempre legata alla terra, al territorio, produceva vino e olio per il proprio consumo. Eliana ci racconta quando da bambina seguiva suo papà Aldo e suo nonno in mezzo ai filari delle viti, per immergersi in un territorio incontaminato, poetico che Mario Soldati definì, “forse il più spettacoloso ed originale paesaggio viticolo che abbia mai visto in vita mia”. Appassionante é il racconto di quando il nonno faceva la “vinetta” ottenuta dal passaggio di acqua calda sulle vinacce di ormeasco, bevanda dal sentore di vino data ai lavoratori dei campi come dissetante e inibitore di ubriachezza.
Bruno ed Eliana decidono di riprendere in mano la tenuta, dapprima facendo “i pendolari del vino”, dalla costa in Provincia di Savona fino ad Acquetico, quasi tutti i giorni in cui il lavoro lasciava loro liberi. Poi nel 2012 Bruno compie un atto coraggioso, quello di licenziarsi, lasciando la sicurezza del suo posto fisso per lavorare a tempo pieno in azienda.
La partenza è con un solo ettaro vitato a Ormeasco e Pigato, ma in pochissimi anni l’azienda conta otto ettari, recuperando antichi appezzamenti che erano stati cancellati dall’incalzare del bosco, ma anche acquisendo vigneti di vecchi coltivatori che oramai logori, volevano vedere ancora viva la loro vigna. Nel 2018 anche Eliana lascia il suo posto fisso: la nuova vita ha inizio. L’orizzonte cambia, si apre un mondo fatto di agricoltura, attrezzi per la campagna, lavoro manuale, costruzione di cantine, recupero di vecchi fienili. Un impegno considerevole, a cui si aggiunge la commercializzazione e la promozione del vino, mantenendo costantemente vivo il rapporto con i clienti e motivando anche culturalmente la scelta legata alla conservazione e alla valorizzazione di un territorio che sarebbe andato disperso. La decisione di tornare ad Acquetico e di lasciare il posto fisso, deriva dalla relazione strettissima con la terra, con il territorio, con la loro visione della vita.
Quando nasci nella terra difficilmente te ne stacchi. Un ritorno ragionato e senza rimpianti, con una passione amorevole e vulcanica ad andare avanti. Il futuro lo costruiscono ogni giorno, sperimentando sul campo, studiando tanto, sempre con una visione di vita rispettosa dell’ambiente, della biodiversità, vero patrimonio da tutelare per il nostro futuro e per la nostra stessa sopravvivenza.
La scelta dell’azienda punta principalmente sulla valorizzazione dell’Ormeasco, vitigno tipico di questo territorio meraviglioso. E la scelta è stata premiata; negli anni viene ampliata la produzione anche grazie al recupero di un vivaio per la messa a dimora di barbatelle rappresentative dei cloni esistenti in Liguria. La storia sembrerebbe inverosimile: non siamo in una pianura o in dolci colline atte alla coltivazione dell’uva, ma quando ti trovi ad ammirare lo spettacolo delle cime delle montagne, il gioco della luce tra i colori della vigna, il silenzio interrotto solo dal canto degli uccelli, ti rendi conto che hanno deciso per il meglio.
Qui la viticoltura è condotta in modo eroico, perché il territorio è impervio e difficile da coltivare, ma al tempo stesso regala delle condizioni ottimali per la crescita delle viti: clima caldo e asciutto, ventilazione adeguata, vicinanza col mare e buone escursioni termiche. Tutto ciò favorisce una ideale crescita e maturazione delle uve, e i numerosi riconoscimenti ottenuti dall’azienda hanno stimolato ulteriormente ad investire nel territorio per utilizzarne al meglio il potenziale produttivo, per migliorare costantemente la qualità e per affrontare nuovi mercati.
Eliana e Bruno declinano stupende espressioni di Ormeasco: sono capaci di dialogare in modo unico con questo vitigno, producendo tutte le tipologie ammesse dal disciplinare: Sciac-trà, vino rosato naturale, Ormeasco di Pornassio, Ormeasco di Pornassio superiore e passito di Ormeasco.
Tutta la produzione è caratterizzata da un tratto che accomuna tutti i vini della cantina: la pulizia olfattiva e gustativa, ottenuta dalla convinzione dell’enologo ultraottantenne Marco Biglino, (un vero guru langarolo) che in cantina si può solo rovinare il risultato ottenuto in vigna. Non ancora sazi, mossi da coraggio e una buona dose di spregiudicatezza, nel 2012 è nata una nuova sfida, la produzione di uno spumante metodo classico con uve di Ormeasco, chiamato Dueluglio in onore della festa patronale del luogo; per produrlo l’uva viene vendemmiata almeno un mese prima della normale vendemmia. Il vino viene poi messo a riposare in bottiglia, in cantina, per almeno 30 mesi per ottenere la seconda fermentazione e creare la magia delle bollicine.
La cantina si sta convertendo in azienda a vocazione biologica, senza uso di pesticidi in vigna, con diserbo manuale e sovescio a favino (antica pratica che pianta apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno e soffocare le erbe infestanti). Pochissimi trattamenti, antiparassitari o antimuffe, tutti naturali, per portare il prodotto sano in cantina, dove è bandito l’uso della chimica e limitato l’intervento dei solfiti.
È sempre emozionante degustare le versioni di Ormeasco: il rosa corallo dello sciac-trà con aromi di fiori, frutti di bosco e una buona freschezza, accompagnata da tannini docili, slanci sapidi e una scia ammandorlata, vino molto versatile.
Il tratto distintivo degli Ormeasco aziendali è sicuramente la morbidezza e la piacevolezza alla beva, dovute al fatto che la vendemmia è molto posticipata rispetto alle abitudini del luogo. Il grappolo è più delicato, fragile, soggetto a maggiori intemperie, ma è il rischio che la cantina ha deciso di correre per portare a casa un prodotto unico.
L’Ormeasco di Pornassio è rosso rubino intenso con riflessi violacei da giovane, naso intenso e ampio dove ritrovo una netta mediterraneità ricco di aromi di frutta (ciliegia matura, mora, ribes, confettura di prugne, viola appassita) e di spezie; se affinato, nella versione “Superiore” diventa granato con naso più ampio e persistente dove prevalgono sentori di frutta matura, resine boschive, legno, vaniglia e pepe nero, con un’inconfondibile nota di macchia mediterranea, di balsamico e un rimando preciso al mare non troppo lontano; secco, fresco, tannico discretamente morbido e strutturato, con persistenza aromatica piacevolmente fruttata.
Se poi avete la fortuna di degustare un vino unico in quanto affinato non in botte di legno ma in ceramica, scoprirete ancora un’altra versione dove il colore, il fruttato di ciliegia e la speziatura di chiodo di garofano hanno un impatto esplosivo. Poi la versione passita, non stucchevole, sorretto da un’ottima acidità e tannini setosi.
La produzione è integrata anche dal Pigato con la vigna altimetricamente più alta di tutta la Doc; con la vendemmia che avviene addirittura dopo quella dei rossi. Due le versioni: il Pigato superiore Giuanò elegante, burroso con piccoli accenni di legno e il Pigato Montania, fresco, sapido appagante, con i suoi sentori di macchia mediterranea ed erbe aromatiche ed una bocca che invita alla beva. Seguono il Vermentino e, ultima novità, la Granaccia di corpo con note di frutti di bosco e leggera speziatura. Non mancano le grappe di Ormeasco, e conoscendo la vulcanica coppia, sono sicuro non mancheranno prossime sorprese.
Franco Demoro
Per maggiori info: Tenuta Maffone, Frazione Acquetico, Pieve di Teco – Tel. 339.6582592