“Sorta di pane indispensabile, dirò così, ai Genovesi nel giorno del S. Natale e nelle altre due successive solennità del primo giorno dell’anno e dell’Epifania. Esso differisce di molto da quello che vendesi tutto l’anno dai pasticcieri; è molto più gustoso e sostanzioso”.
Le parole di G.B. Ratto, autore della prima Cuciniera Genovese (1863), descrivono in modo sintetico ed efficace l’importanza del pandolce nella tradizione natalizia dei liguri. Accennando a due tipologie, Ratto tocca un tema assai ricorrente fra chi è incuriosito dalla storia del cibo, cioè quale sia la versione più antica. Facciamo un passo indietro provando a percorrere la storia di questo dolce tanto amato dai liguri. In passato, in molte parti d’Italia e non solo, a Natale si praticava la consuetudine di preparare un pane dolce, talvolta arricchito da burro e frutta secca. Nel Seicento, il nobile bolognese Vincenzo Tanara lo definisce Pane di Natale, spiegando che i contadini delle sue campagne impastano la farina con levito, sale e acqua, over d’acqua melata [col miele N.d.A], incorporando dentro uva secca, e zucca condita in mele [miele N.d.A], aggiuntovi pepe, e ne fanno una pagnotta grossa, quale chiamano Pan da Natale. Poco importa si stia parlando delle campagne bolognesi, poiché l’ispirazione è la medesima: onorare la festa religiosa più importante dell’anno arricchendo l’alimento base, simbolo liturgico del corpo di Cristo, con miele e frutta secca. Le origini sono le stesse che nelle nostre montagne hanno visto affermarsi la tradizione della figassa de Natale, un grande pane leggermente dolce con qualche prugna secca all’interno o, per chi poteva, poca uva passa.
Il pandolce è il figlio benestante di quei dolci rustici e nel corso del tempo ha visto la sua normale evoluzione sapendo conservare gran parte dei caratteri originali. Questa considerazione riguarda, però, il cosiddetto “pandolce alto” che poco o nulla ha a che vedere con la versione definita “pandolce basso”.
E qui si torna alla domanda di cui sopra: quale delle due è la più antica? Forse la risposta è più semplice di quanto si creda. Definiamoli alto e basso per comodità. Il primo segue un processo produttivo che ricorda il pane, lievitando grazie all’apporto della pasta madre, o crescente, o lievito madre… Il secondo non necessita di lievitazione vera e propria, perché contiene il lievito chimico che agisce con il calore del forno. Questa differenza sostanziale, che non è certo l’unica, separa drasticamente i due “parenti”, poiché l’alto assume la forma di una pagnotta lievitata con la consistenza di un pane dolce condito e arricchito dalla frutta secca, mentre il basso presenta una pasta più simile alla frolla. Pinoli, uvetta e canditi accomunano le due versioni, ma le differenze rimangono davvero marcate. La risposta alla domanda iniziale, perciò, appare scontata: il più antico è il pandolce alto. A conforto di questa tesi si potrebbero citare le ristampe più recenti della Cuciniera di Ratto – per esempio quella del 1947 – nelle quali alla classica ricetta del Pan dolce (Pan doçe de Natale) segue la versione del Pane dolce svelto, che prevede l’uso di una miscela di bicarbonato e cremor di tartaro anziché il lievito madre. Seguendo questa suggestione si può ipotizzare che il pandolce che vendesi tutto l’anno dai pasticcieri corrisponda all’incirca al basso, mentre quello preparato solo nelle feste fosse l’alto. A voler essere rigorosi non c’è alcuna certezza che conforti questa tesi pur ragionevole, poiché poteva trattarsi anche solo di una versione semplificata del pandolce alto – tipo pan co-o zebibbo –, meno condita e senza pinoli, né canditi. E anche riguardo a una possibile variante antica di pandolce basso con caratteristiche simili ai panforti o ai pani speziati, non si può escludere a priori possa essere esistita. Tuttavia, si tratta di ipotesi forse meno sostenibili, e identificare nel pandolce alto la versione antica appare ragionevole e coerente con i documenti attualmente conosciuti.
Semmai val la pena sottolineare una certa difficoltà nel procedimento di produzione del pandolce alto, dovuta soprattutto all’impiego del lievito madre. Oggi con le lievitazioni protette in ambienti condizionati e umidificati, l’operazione si è molto semplificata, ma in un passato neanche troppo lontano, bastava un improvviso cambiamento del tempo per complicare di molto la situazione. Nulla di irreparabile, certo, ma un passaggio repentino dal clima umido al secco, per esempio, dettava la necessità immediata di proteggere la lievitazione con teli di ogni genere, per impedire che il processo rallentasse compromettendo la giusta crescita e dunque la corretta consistenza dopo la cottura. Che poi la gestione del lievito naturale sia complicata, non è certo una novità, basta considerare che nelle aziende strutturate esistono i “lievitisti”, veri e propri esperti nella cura del lievito madre.
Oltre ai migliori ingredienti e a un buon lievito naturale “rimesso” ad arte, cioè rinnovato a dovere, nella produzione del pandolce alto è decisiva anche la padronanza della tecnica di tornitura, lavorazione manuale – nei grandi numeri si fa a macchina – che consiste nel trasformare ogni singolo e informe pezzo di pasta in una sorta di semisfera. Di solito il pandolce alto si tornisce due volte, affinché conservi la nuova forma e non si allarghi né si abbassi troppo in lievitazione. Ovviamente anche la cottura è importante per non vanificare il lungo lavoro di preparazione. Trovo decisiva la consistenza e l’equilibrio del sapore: il pandolce alto deve presentare un’alveolatura regolare e ben definita senza risultare mai asciutto. Inoltre, è importante che la dolcezza sia piuttosto contenuta ed equilibrata per evitare la stucchevolezza. Il pandolce basso è di per sé più carico, ma col giusto dosaggio degli ingredienti, altrettanto gradevole e apprezzato.
Soprattutto in passato, i rituali natalizi dedicati al pandolce avevano la loro importanza: la prima fetta da conservare per i poveri, la seconda per il capofamiglia e il rametto di ulivo o di alloro conficcato sulla sommità del dolce. Tutte tradizioni oggi un po’ decadute, seppur ancora vive. Per fortuna a non decadere mai è il fascino del pandolce, magari nella rara versione gigante, di qualche chilo, da condividere in gruppo per un bel Natale di festa.
Sergio Rossi