La sua storia si perde nella notte dei tempi, la grande pianura ospitava i Sapiens che si spingevano a cacciare in Valle Pennavaire, a Castellermo, montagna sacra, poi i Celti, alleati dei Cartaginesi contro i Romani che cominciavano a spingersi nelle Gallie sino a conquistarle. Albenga, città delle torri (cento, si narra, da qui il nome del suo fiume, Centa, il più breve d’Italia), città della fionda (grazie ad un gruppo di attempati monelli, i Fieui di caruggi che con goliardia organizzano eventi di richiamo e di impegno), è soprattutto la “Porta delle sue Valli”, Pennavaire, Arroscia, Neva, Lerrone, ricche di storia, paesaggi, natura, sapori. Una città a misura d’uomo, famosa per i suoi ortaggi, i suoi fiori, le sue aromatiche, ammirata per il suo centro storico, il secondo della Liguria, dopo Genova per ampiezza, stupefacente per il suo patrimonio storico, archeologico, naturalistico. Da qualche tempo il suo marchio è una piccola tartaruga stilizzata, con all’interno del carapace le torri medievali, non una tartaruga qualsiasi, ma la Emys, una “biscia scursua” (biscia con la scorza, in dialetto) endemica di Albenga, un tempo con ampie zone palustri, che ha rischiato l’estinzione, e che ricorda la sua “sorella maggiore”, l’Isola Gallinara. Un marchio che per Albenga rappresenta il “turismo lento”, slow, ideale per scoprire le bellezze di una cittadina per troppo tempo trascurata dal mercato delle vacanze.
Il centro storico, si diceva, uno scrigno racchiuso dalle sue mura medievali, con le Porte d’accesso (distrutta, alla fine del 1800 Porta Marina, quella che dava verso il mare, Borgo Sagrino) che danno il benvenuto al turista: Porta Molino, Porta Torlaro, Porta d’Arroscia e Porta del Pertugio con i loro maestosi portali. Uno scrigno racchiuso, il centro storico, che racchiude tesori d’arte, storia e architettura. A cominciare dalla cattedrale, dedicata a san Michele Arcangelo, una chiesa dove si scende, a dimostrazione del lento innalzarsi della città per via delle alluvioni del Centa, un “benefico maleficio” per la città, per continuare col Battistero del V secolo, uno dei più antichi della Cristianità. Ma tutte le vie, le piazze, i caruggi hanno una storia, a cominciare dalla struttura urbanistica, costruita sul “castrum” romano.
I palazzi, nobiliari o meno, medievali o secenteschi, raccontano storie e personaggi, dai Fieschi ai Borea Ricci, dai Lengueglia ai Costa Del Carretto, solo per citarne alcuni. E poi gli antichi conventi, gli oratori, i musei, da quello Navale, custode dei reperti della nave oneraria romana affondata al largo della Gallinara (a proposito, l’isola che ospitò San Martino custodisce uno splendido convento benedettino), a quello romano, con preziose testimonianze dello splendore imperiale, passando per il preistorico (con reperti trovati da Milli Reale Anfossi nelle sue esplorazioni in valle Pennavaire) e la splendida collezione di antichi vetri che comprende il prezioso Piatto Blu di lavorazione fenicia, per non dire del Museo Diocesano, vera cassaforte di arte sacra, comprese opere di Guido Reni e un quadro in passato attribuito a Caravaggio. E che dire del piccolo, raccolto e completo Museo dell’olio e della civiltà contadina allestito dalla famiglia Sommariva all’interno delle mura, accanto al secolare frantoio.
Turismo slow, appunto, magari sedendosi al tavolo di uno dei tanti locali, bar e ristoranti, che animano il centro antico, assaporando una fetta di croccante farinata di ceci accompagnata da un bicchiere di pigato o di rossese di Campochiesa. E per chi ama i dolci impossibile non assaggiare i baxin di Albenga, ricetta segreta della famiglia Bria.
Albenga, però, non è solo centro storico. Le vestigia storiche si possono ammirare anche semplicemente passeggiando verso Pontelungo, chiamato così perchè costruito attorno al 1200 sul Centa, prima che il fiume fosse deviato, probabilmente dai genovesi. Prima di arrivare al Santuario e al ponte, infatti, uno scavo mostra i resti della basilica di San Vittore, edificio risalente al IV o al V secolo, coevo al battistero, insomma. O ancora attraversando il ponte rosso sul Centa, quando verso Vadino si possono ammirare le antiche terme romane, ancora oggi al centro degli studi degli storici. E al monte, dove sono stati trovati i resti della Basilica di San Calocero, martire bresciano ucciso alla foce del Centa, il pilone, probabilmente un monumento funerario, l’anfiteatro romano (recuperato per suggestivi spettacoli estivi), la via Julia Augusta, acciottolato utilizzato per le campagne romane in Francia, con ai lati tombe, piccoli edifici, storia e macchia mediterranea.
Per non parlare delle frazioni, troppo spesso dimenticate, ma con bellezze incredibili. Come la chiesa di Santo Stefano in Massaro, probabilmente il primo nucleo abitato di Bastia, o la chiesa di San Giorgio, al confine con Ceriale, che al suo interno custodisce uno splendido Giudizio universale e, soprattutto, un ciclo dantesco conosciuto e studiato da storici di tutto il mondo.
Torniamo in città, percorriamo Viale Martiri della Libertà, uno dei pochi viali alberati con odorosi tigli, e tra i palazzi degli Anni ‘60 spuntano ancora le eleganti ville Liberty del primo ‘900, sino ad arrivare al mare, oggi un quartiere, un tempo zona agricola, in piazza Europa si può visitare l’antico fortino di avvistamento voluto dai Doria, prima di una passeggiata sul lungomare, con l’isola Gallinara di fronte.
Inutile dire che questo è il quartiere dell’estate, del turismo balneare, dei campeggi e degli stabilimenti balneari.
Volendo, giusto per restare nel mood del turismo lento, si potrebbe tentare una gita nella Piana, no, non nei centri commerciali, ma proprio nel cuore agricolo di Albenga, fatto di cantine di pigato, vermentino, rossese di Campochiesa, granaccia o alicante, vini di corpo, di storia, di gusto, che ben si sposano con le eccellenze agricole. A cominciare dai Quattro di Albenga, carciofo spinoso (tenero e croccante assieme), asparago violetto (Presidio Slow Food, un unicum impossibile da coltivare altrove), pomodoro Cuore di bue (carnoso, saporito, con buccia sottilissima) e zucchino trombetta (talmente morbido da potersi mangiare anche crudo), eccellenze conosciute ed esportate in tutta Europa, utilizzate da grandi chef per piatti stellati.
Turismo slow, però, vuol dire anche turismo consapevole, curioso, sportivo. E se, ovviamente, non manca la possibilità di praticare sport acquatici (dalla vela al windsurf, dalla canoa al kite-surf), si sta potenziando, grazie alla collina, l’outdoor, dal ciclismo in tutte le sue varianti (da strada, mountain bike e oggi anche l’E-Bike), il trekking, l’orienteering e tutte le attività all’aperto. Decine i sentieri da percorrere, moltissimi i punti di osservazione per il birdwatching, la ricerca di tracce, le semplici passeggiate tra mirto ed essenze mediterranee.
Un turismo da Emys, insomma, lento, curioso, consapevole. Albenga, come i suoi carciofi, è da scoprire, foglia dopo foglia…
Stefano Pezzini