Andar per mare con i Lagaccio

Nel genovesato, quando si dice i Lagaccio s’intende quei biscotti che da qualche secolo sono parte della cultura gastronomica locale.

Nascono non si sa quando come evoluzione dei più comuni e popolari biscotti per i naviganti, derrata indispensabile per ogni tipo di imbarcazione che in passato affrontasse più o meno lunghe traversate. I biscotti hanno il dono dell’eloquenza, poiché nel nome stesso racchiudono la sintesi del processo produttivo che li caratterizza: bis-cotto, cotto due volte. A questa loro peculiarità si unisce il riferimento al Lagaccio, un vecchio lago artificiale, oggi prosciugato, che risale al tempo di Andrea Doria. Il condottiero genovese lo fece ricavare in una valletta, alle spalle del suo lussuoso palazzo, per garantirsi una cospicua riserva d’acqua. Alimentato da alcune sorgenti locali e dalla pioggia, nelle sue vicinanze pare sorgesse un forno che produceva il biscotto per le imbarcazioni del Principe, così ancora oggi si parla di biscotti del Lagaccio. E se questa sintesi vive al confine fra storia e leggenda, rimane certa la presenza del lago fino agli anni Sessanta del Novecento, quando, anche a causa della pericolosità di quell’invaso, insidioso e ormai inutile – in quegli anni costò la vita a un ragazzino –, si procedette all’interramento. Rimane vivo il toponimo trasferito ormai da secoli all’intero quartiere.
Il biscotto originario era ricavato da filoni di pane cotti normalmente poi affettati e riposti in forno ad asciugare affinché acquisissero la massima durevolezza. Doveva resistere per diverse settimane nelle cambuse delle imbarcazioni, poiché costituiva l’alimento base dei marinai. Di quel prodotto più semplice, probabilmente esisteva anche una variante profumata di finocchietto e forse leggermente addolcita con sapa o miele, poiché lo zucchero rimase a lungo una spezia assai costosa. Col passare del tempo l’evoluzione di quei biscotti continuò e vennero arricchiti di una parte grassa (solitamente burro, ma talvolta olio e in passato anche strutto) e zucchero. Come accade spesso nella storia del cibo, si diffusero diverse varianti che portarono alla creazione di altrettante sfumature di prodotto: erano tutti biscotti del Lagaccio ma ciascuno si legava al nome del produttore, tanto che ancora oggi si tende a esprimere la propria preferenza specificando il nome della ditta che li sforna.
La confusione fra il biscotto marinaresco e la versione da colazione crea qualche problema nella ricerca delle origini, poiché la dicitura completa biscotti del Lagaccio si ritrova soprattutto dai primi decenni dell’Ottocento, mentre prima d’allora è citata spesso la voce generica biscotto. Piacevano a Giuseppe Mazzini e a Giuseppe Garibaldi. Il primo li ricorda nella sua corrispondenza dall’estero, il secondo li riceve in dono dall’amico Coltelletti, e nel biglietto di ringraziamento li definisce eccellentissimi biscotti del Lagaccio. E chissà se erano dello stesso tipo anche quelli registrati nei conti di Paolo Francesco Spinola, nel 1804? Forse si. Li forniva con una certa costanza la servente della Monaca, ma la nota d’acquisto riporta solo la voce biscotti, senza altre specifiche. Potrebbe darsi li producessero proprio le monache, in convento, come racconta in un suo scritto Frederick Yeats-Brown, figlio del Console britannico a Genova, che nella prima metà dell’Ottocento li comprava dalle monache, vicino casa, sulle alture della città. Dando credito alla traduzione proposta dall’Hazon, i suoi rusks, (fette di) pane dolce biscottato, erano i nostri Lagaccio.
I biscotti del Lagaccio si fanno con farina, burro e zucchero, uniti al lievito naturale e talvolta al finocchietto. Formati i filoni, dopo la lievitazione si cuociono al forno come il pane, e appena raffreddati si affettano per la successiva “biscottatura”.
Superfluo ricordare che oltre agli ingredienti scelti diventa essenziale la perfetta lievitazione e la cura dei passaggi in forno. Il risultato finale, seppur leggermente diverso secondo il dosaggio degli ingredienti, deve dare un biscotto croccante, asciutto ma non tenace, saporito ma mai stucchevole e leggermente resistente all’inzuppamento. Ancora nel Secondo Dopoguerra, nell’entroterra genovese, i biscotti del Lagaccio erano una ricercatezza della festa. I vecchi dei miei monti mi hanno raccontato che la mattina di Natale, in alcune famiglie, gustavano i Lagaccio pucciati nella cioccolata calda. Due rarità da concedersi solo una volta l’anno.

Sergio Rossi

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