Lasci l’Aurelia trafficata, poco prima di arrivare a Ventimiglia, e sali lungo la Val Nervia, percorrendo la strada vedi alcune delle migliori cantine del Rossese di Dolceacqua, prima Doc (poi prima Docgp) della Liguria, poi lo splendido ponte medioevale di Dolceacqua preso a modello da Monet, e ancora Apricale, il paese delle lucertole, ma soprattutto il Nervia, torrente impetuoso e affascinante, con cascatelle e polle, un paradiso per chi ama pescare trote e salmerini. Una ventina di chilometri, fatti la scorsa estate in Vespa, per raggiungere un “bricco” che domina la valle: Castelvittorio, 430 metri d’altezza, circondato da ulivi, orti, viti e boschi, castagni soprattutto. “Il terrazzo della Val Nervia”, lo chiama qualcuno, una pigna che si spinge verso l’alto.
Dove ti giri ti giri vedi i monti delle Alpi Liguri, il Toraggio, Cima Marta, Monte Ceppo, Baiardo, vette che sfiorano i 2 mila metri, boschi che nascondono funghi, tartufo nero e piccoli frutti, ma anche cinghiali, lepri, pernici, l’ideale per passeggiate immersi nella natura, senza dimenticare le sorgenti, acque pure e fresche da assaporare durante una passeggiata. Passeggiate che fanno venir fame, e allora ecco le specialità tradizionali del borgo, a cominciare dal turtun, una torta verde diversa da altre torte verdi della tradizione ligure., che ha ottenuto la De.Co., le denominazione comunale. Per prima cosa non si tirano delle sfoglie, ma una sola unica sfoglia, ampia, che possa contenere due ripieni, a seconda della stagione. Quella della tradizione, estiva, prevede zucchine, patate e tuma della vallata. Quella invernale e primaverile, invece, prevede le zucchine sostituite con un misto di erbe selvatiche (piaceva, e tanto, a Libereso Guglielmi, il “Giardiniere di Calvino”). Qualcuno sostituisce le patate con il riso, ma a noi quella con le patate di montagna piace di più. Il turtun, chiuso con tante piegoline nella pasta, deve essere cotto nel forno a legna direttamente sulla piastra senza teglia. Una volta si cuoceva nel forno a comune del paese dopo aver cotto il pane apponendo le iniziali per facilitarne il riconoscimento a cottura ultimata. A portarlo a casa, un tempo, erano le donne che mettevano in testa uno strofinaccio “accrocchiato” dove poggiare il testo col “turtun”. Non manca, sulla tavola di Castelvittorio, olio di montagna, cultivar taggiasca, prodotto negli storici uliveti del paese, un olio quasi medicamentoso. Castelvittorio (il nome è recente, 1862, in onore di Vittorio Emanuele, prima si chiamava Castel Dho e, successivamente, Castel Franco) è un borgo bello, in gran parte intatto. Risale al 1200, voluto dai Conti di Ventimiglia (sì, quelli del Corsaro Nero salgariano). La parrocchiale di Santo Stefano e l’alto campanile al centro e alla sommità del borgo sono nelle forme del barocco genovese. La chiesa nell’assetto attuale, venne eretta in sostituzione della precedente romanica. Della vecchia chiesa resta un portale, in ardesia, con bassorilievi, incluso nella parete sud della chiesa nuova. Gli antichi capitelli, in ardesia, della chiesa vecchia sono reimpiegati quali sedili nelle logge pubbliche poste nell’attuale piazza XX Settembre, una vera chicca urbanistica. La chiesa custodisce un crocifisso del Maragliano ed un quadro del Gastaldi da poco restaurato. L’alta torre campanaria che culmina in una multicolore cupola a cipolla è staccata dalla chiesa, si trova al centro della piazza detta Astregu. Un’ampia scalinata, mette in comunicazione, piazza XX Settembre con la parte alta e più antica del borgo fortificato. La piazza assunse l’aspetto attuale tra il 1600 ed il 1700. Essa ha la forma di un poligono irregolare, circondata dalle logge pubbliche, presenta una fontana-abbeveratoio ed è pavimentata con ciottoli a mosaico. Alcune delle case hanno l’architrave della porta scolpito. Nella piazza, sul lato nord, in discesa, inizia via Vittorio Emanuele, la più importante del borgo, che lo attraversa completamente. Lungo la strada erano collocate le botteghe artigiane. Percorrendo la via, sulla sinistra, con accesso su di una altrettanto ampia scalinata, la Salita comunale, vi sono le prigioni, i Zeppi, con finestre sbarrate da robuste inferriate, l’interno mostra gli anelli cui venivano incatenati i prigionieri. Proseguendo si raggiunge la porta Santa Caterina ove è l’Oratorio di Santa Caterina di Alessandria.
Castelvittorio fa parte di ALTALMA – Alleanza Territori Alpini e Marittimi, una nuova associazione che si propone di valorizzare i territori montani, vallivi e costieri, anche attraverso processi partecipativi rivolti agli abitanti, alle Istituzioni ed agli operatori socio-economici che in essi operano e vivono, in parole povere, salvaguardare il territorio attraverso la ricerca, l’enogastronomia, la valorizzazione delle storie e dei personaggi che fanno ed hanno fatto grandi i territori montani.
Stefano Pezzini
CONSIGLIATO: UNA SOSTA AL BUSCIUN
Il Ristorante Busciun è l’indirizzo giusto per assaporare le peculiarità della cucina Castelluzza in un ambiente informale e accogliente, alle porte del centro storico, con comodo parcheggio proprio accanto al locale. Stefano e Vanessa propongono una cucina della tradizione dove non può mancare il classico Turtun di Castelvittorio, affiancato da numerosi altri piatti che si alternano con l’avvicendarsi delle stagioni e delle eccellenti materie prime che caratterizzano questa porzione di Alta Val Nervia, come l’olio extravergine di montagna che costituisce la base della cucina e dei condimenti. La pasta è rigorosamente fatta a mano, tipici i ravioli col pizzico ripieni di verdure o patate e conditi con salse che ne valorizzano la freschezza. Altre specialità sono le lumache alla Castelluzza, la capra e i fagioli della vicina Pigna, il coniglio con le olive taggiasche e la cacciagione stufata nel vino Rossese. Il ristorante è aperto a pranzo da mercoledì a domenica, cena su prenotazione.
Contatti:
Ristorante Busciun, Via Caviglia 1 Castel Vittorio. Tel. 0184 241794 Facebook: Ristorante Busciun Castelvittorio