di Stefano Pezzini
Dici Albenga e, ancora oggi, pensi ad asparagi violetti, teneri carciofi spinosi, succosi pomodori cuori di bue o marmanda, zucchine trombetta e tante altre eccellenze agricole.
Merito del Centa, delle sue alluvioni, del suo limo che secolo dopo secolo si è depositato sino a creare, in una delle poche piane della Liguria, un terreno fertile e produttivo, la Piana con la P maiuscola. Merito anche dell’arrivo dei valpolceveraschi, i “besagnini”, che dalla metà del 1800 furono “sfrattati” dagli orti della Val Polvevera e della Val Bisagno, dalle nascenti industrie genovesi. Furono loro (visti dagli albenganesi come degli usurpatori, ladri di attrezzi agricoli e terreni incolti) a fare la fortuna orticola e frutticola di Albenga. Sino ad allora, infatti, la Piana (in gran parte acquitrinosa) era coltivata a gelso per il fiorente allevamento di bachi da seta, a canapa (no, non per fumarla, ma per produrre la fibra dei tessuti), olivi e vite. L’orticoltura era a livello famigliare, anche perchè gli ortaggi sono prodotti freschi, soggetti a deperimento veloce. Impossibile, sino al 1872 (veramente qualche tempo dopo) coltivarli per l’esportazione. Perchè il 1872? Ma perchè è in quell’anno che la ferrovia collega Genova a Ventimiglia, con fermata ad Albenga. E Genova, che man mano stava perdendo gli orti, aveva bisogno di frutta e verdura fresca. Albenga diventa il “grande orto di Genova” e, di lì a poco, del Nord Italia, sempre più collegata dalle rotaie. I contadini, quelli ormai integrati arrivati dal genovesato e gli albenganesi diventati orticoltori, intuiscono che per allargare il mercato e spuntare prezzi migliori, bisognava anticipare la maturazione delle colture. Come? Con le “stuffe”, le prime rudimentali serre di legno e vetro (non a caso chiamate anche “vedrine”), che sfruttando il calore del sole, che ad Albenga non è mai mancato, forzassero la maturazione di pomodori e altri prodotti, le “primizie” che sino agli Anni ‘70 sono state il vanto dell’agricoltura albenganese. Arrivano ad Albenga alcune famiglie di cestai toscani che aprono botteghe artigiane per costruire i grossi cesti destinati al trasporto di ortaggi e frutta. Il successo delle serre è tale (nel corso degli anni diventano veri gioielli di tecnologia) al punto che nel 1906 nasce la “federazione Agricola Anonima Cooperativa di Albenga” gli scopi sociali sono di facilitare le spedizioni collettive, via ferrovia, dei prodotti dei soci, provvedere all’acquisto dei concimi e materiali, fornire assistenza e mezzi legali ai coltivatori. I mercati di destinazione sono Milano, Torino, Genova e Nizza, con sede in piazza Corridoni.
La Federazione è, si può dire, la “mamma” di quella che oggi è la Cooperativa l’Ortofrutticola, gigante agricolo della Liguria, nata nel 1941 dall’intuizione e dal coraggio (non dimentichiamo le date) di alcuni agricoltori illuminati. “Se oggi siamo quel che siamo lo dobbiamo a loro”, commenta Lara Ravera, dinamica presidente della Cooperativa.
Torniamo alla storia. Attorno agli Anni ‘20 l’agricoltura si sviluppa ulteriormente, arriva una seconda ondata immigratoria, dal Veneto questa volta. Sono operai specializzati in bonifiche, la Piana si allarga di nuova terra coltivabile e le primizie cominciano, grazie ai carri frigo, a raggiungere l’estero. Si coltivano porri, prezzemolo riccio (richiesto per salse ed estratti per preparate il Pernod), albicocce, primizie. Poi, Anni ‘70, la trasformazione. I fiori diventano il “core business” della Piana: gerbere, orchidee, lilium, gerani e via dicendo. Gli Anni ‘90 vedono una nuova trasformazione, Albenga diventa la regina delle aromatiche, in vaso o in vaschette per la grande distribuzione (intuizione fortunata e vincente di Giobatta “Aimone” Vio) e, paradossalmente ma non troppo, torna agli ortaggi, alle sue eccellenze, i quattro di Albenga: pomodoro cuore di bue, asparago violetto (Presidio Slow Food), carciofo spinoso e zucchina trombetta.
Aimone Vio, l’uomo delle erbe
Già Nonno Renato, papà di Aimone Vio, coltivava nei terreni pianeggianti verdure e carciofi di Albenga e nei terreni collinari vite e ulivi. La storia dell’azienda agricola Bio Vio si intreccia con la vita di Aimone Vio, che racconta “Negli anni 80 ho rivoluzionato la produzione, mi davano per matto perché avevo cominciato a produrre salvia, rosmarino e alloro a pieno campo. E grazie al suggerimento di un anziano amico, avevo capito che la grande distribuzione avrebbe rivoluzionato il commercio. Il mazzetto di salvia e rosmarino che sino ad allora veniva regalato dal macellaio o dal fruttivendolo sarebbe scomparso. Così ho pensato di confezionare le aromatiche in vaschetta per poterle vendere nei supermercati. Il tempo per fortuna mi ha dato ragione”. Con la passione per il proprio territorio e la sua intuizione, Aimone ha cominciato a produrre già dagli inizi degli anni ‘80 salvia, rosmarino, alloro, timo, menta, origano, maggiorana, coriandolo, prezzemolo e basilico. Oggi l’azienda agricola si estende su 18 ettari prevalentemente coltivati a pieno campo e parte in serra. Dal 1989 l’Azienda è certificata alla coltivazione Biologica da ICEA, proprio per cercare di creare prodotti il più possibile sani e genuini, garantendo così alta qualità al consumatore. La maggior parte del prodotto viene confezionato in sacchetti e vaschette termosaldate destinate alla G.D.O. che viene servita da sempre direttamente o tramite grossisti del settore. Ogni fase di lavorazione, dal taglio, alla selezione, alla pulitura, al confezionamento viene svolta a mano da personale specializzato nel settore. Il sistema produttivo consente tempi di confezionamento tali da garantire la freschezza del prodotto, preservarne la fragranza e il sapore e mantenere a lungo la buona conservazione.