Augusto Manfredi, oltre ad essere un amico, è un dirigente ligure dell’Ais, l’associazione italiana sommelier, ma soprattutto è un appassionato del vino, conoscitore sopraffino e cantore dell’Ormeasco (non a caso è di Pieve di Teco), è un curioso dei vini di tutte le nazionalità. Nei giorni scorsi ha trascorso qualche giorno di vacanza nella Loira e, ispirato da grandissimi vini e superbi sapori, ha scritto questo articolo
. Ecco il suo reportage (da invidia per chi ama il vino…)
Ultima visita prima del rientro. Avevamo fissato ai primi d’agosto. Il giorno prima della partenza, probabilmente una risposta automatica, mi dice che sono in ferie fino al 28. Boh!
Venerdì sera, scorrendo le mail sul cellulare, mi viene in mente l’eventuale appuntamento. Decido di andare lo stesso, casomai farò un giretto. Arrivo di buon’ora, un piccolo gruppo di case, una decina o poco più, intorno un mare di vigne, nessun numero civico. Faccio un giro di perlustrazione, ci vogliono meno di cinque minuti. Passo davanti ad un piccolo chalet, c’è una signora in fondo al cortile che mi guarda, tiro dritto perché sono in anticipo di quasi un’ora. Giro successivo, chiedo ad una signora per strada che gentilmente mi risponde: “20 metri a destra, uno chalet…”.
Proseguo ed ecco lui che mi aspetta, un saluto veloce, un ringraziamento da parte mia per la disponibilità nonostante le ferie, e senza ulteriori indugi mi chiede se volevo andare in cantina. Mentre ci avviamo esce un ragazzino che da lontano mi fa un cenno di saluto con la mano alzata che prontamente restituisco. Entriamo nella cantina, veramente piccola e modesta. Mi fa strada nell’infernotto, accende una candela sopra una barrique a mo’ di tavolino e prende i calici. Mi descrive i terreni, lui ha tutti e tre i tipi, poche bottiglie. Chiedo, con il mio francese quasi inesistente, le differenze dal punto di vista organolettico. Lui mi guarda, sorride e mi dice “Caillottes le nez, Argilles la bouche, Silex la longueur…”. Scrivo in italiano perché faccio prima “il mercato accetta adesso solo gli estremi, ma il sauvignon di una volta era frutto di assemblaggio ed il risultato era più equilibrio e souplesse in bocca” e incomincia a stappare la prima bottiglia, frutto di assemblaggio, ed effettivamente si sentono le varie sfumature, cominciamo bene… Proseguiamo con gli altri due, diversi ma legati intimamente al sottosuolo, tutti comunque eccellenti. Mi fa attendere un attimo e preleva due campioni dalle botti che non sono ancora pronti e verranno imbottigliati in autunno. Il secondo, mi dice, è fatto all’ancienne, come faceva suo padre. Accidenti, potente, equilibrato, peccato non sia ancora in bottiglia… Ad un certo punto gli chiedo sull’invecchiamento, 5 anni,10 anni…Anche qui un piccolo sorriso, mi dice attendi un attimo, arriva con una bottiglia impolverata, chiusa con ceralacca.
Quatreventdisept… Un rapido calcolo, ’97… Lo apre, lo annusa, me lo serve. Colore giallo, paglierino intenso, forse quasi dorato, bagliori che la fioca luce della candela mette in risalto. Bottiglia di assemblaggio, subito un po’ chiusa e con una leggera riduzione. Faccio un accenno e incomincio a roteare il bicchiere, lui mi dice “3 minuti, non 4”. Ad un certo punto avvicino il naso e mi viene la pelle d’oca sulle braccia, cosa accaduta poche volte in vita mia… profumi di ogni genere, pochissimi terziari, quasi inesistenti. Siamo stati più di venti minuti a discutere di questo vino, profumi che cambiavano e si rinnovavano continuamente, me ne son versato tre volte, alla fine col bicchiere ormai vuoto, “le parfum du raisin”, bocca potente, equilibrata, soave, retrogusto fruttato maturo ma ancora croccante, finale lungo e asciutto, senza nessun cedimento all’età. Non so cosa dire, mi dice”, adesso cercano i vini troppo profumati, vendemmiano in anticipo, l’uva deve essere matura, la tecnica fa molto, ma c’è una cosa che fa più di tutto”, piccola pausa, mi fissa direttamente negli occhi “…la passion…” . Grazie Vincent, questa visita valeva da sola il lungo viaggio…