di Umberto Curti
Castelnuovo Magra, un castello “ripido” su monte Bastione a presidio della Magra…, ma oggi donde avviarne un compiuto storytelling per i turisti, i gourmet, i trekkers? Dalla bandiera arancione di cui si fregia dal 2002? Dall’Enoteca regionale dove spiccano alcuni fra i più alti Vermentini DOC d’Italia? Dall’olio, grazie a cultivar quali lantesco, castelnovina (1)…? Dalle trattorie i cui menu custodiscono un’antica (per non dire ancestrale) ruralità “di confine”? Dalla creatività di coloro (la salumeria di Elena e Mirco) cui dobbiamo una prosciutta massaggiata con grasso e spezie, assurta a P.A.T., e perfetta coi pani di castagne così classici in Lunigiana?
A Castelnuovo ho pranzato talvolta, nei decenni, all’Armanda (check in d’impatto a imbocco borgo), in genere dopo una visita alle statue stele del Piagnaro di Pontremoli, o alle preziose rovine di Luni, porto-emporio romano cui dedicai molto spazio nel mio “Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana” (2012), dove accennai anche ai formaggi cari a Marziale e ad una “torta” cara all’Ovidio dei “Fasti”, precorritrice della spungata? In età forse post-romana quel porto venne interrato separando Luni dal fiume e dal mare… Dopo le brutalità di Rotari, essa durante il medioevo decadde via via a città morta e paludosa, “solo nudo e vano nome” secondo Petrarca, sicché Castelnuovo Magra (castrum novum) divenne sede vescovile lunense a presidio della Via Romea, cosiddetta in virtù della meta, Roma.
Su quella tavola all’Armanda, sala stretta e toilette micro, ricordo bene i must “storici”, lattughe ripiene, pasta e fagioli, trippe “pasquali” – di manzo o vitello – cotte in umido, e nei calici, di recente, per esempio il felice Vermentino nero di “Terenzuola”, elevato da un po’ di barrique, sorprendente e confortante, pensare che un tempo era vitigno incline a marcescenza…
Ogni volta, come me, anche tu lo avvertiresti: questa terra odora di storia e pellegrini, di commerci e contese, sarà la Francigena, saranno i famosi, malaspiniani endecasillabi danteschi “Tragge Marte vapor di Val di Magra, ch’è di torbidi nuvoli involuto”.
Castelnuovo Magra nel 2003 si è opportunamente associata proprio ai Comuni Italiani sulla Via Francigena/Romea, l’itinerario (ormai notissimo) sulle tracce di Sigerico, ai tempi (950?-994) alto prelato di Canterbury, il quale raggiungendo il caput mundi cristiano compilò un diario. Castelnuovo, più in dettaglio, presenzia la tappa T003 Aulla- Avenza, 32 km di saliscendi verdi.
Della città cito qui soprattutto Palazzo Amati-Ingolotti-Cornelio, sede del municipio e archivio comunale, riuscita “ripresa” ottocentesca di una dimora preesistente. E’ lì dal 1996, nelle sale delle cantine cinquecentesche, l’Enoteca coi Vermentini.
Il vermentino è un vitigno mediorientale→spagnolo→corso→sardo→toscano, dal nome forse genovese (per i suoi tralci vermigli), ma sottolineo forse. Scrive il (non sempre infallibile) botanico finalese Gallesio nel 1817: “…sostanzialmente due le più importanti varietà di vitigni diffusi in Liguria: il Vermentino e il Rossese. Il primo è prediletto nel genovesato e quello che gode la riputazione più estesa tra le varietà che si coltivano da Ventimiglia a Sarzana…”. Presenta mille sinonimi: malvasia grossa in Corsica nord e Pirenei orientali, carbesso, piccabon…, ma non includerei più la favorita in Piemonte… Oggi è forse complessivamente più ligure che spagnolo, acquisendo in acidità ciò che ha perso in aromi. In genere il vitigno predilige filari di collina soleggiata, vista mare, dove i grappoli s’ambrano e scampano alla botrite e all’oidio. Produce con abbondanza costante, malgrado una certa “vulnerabilità” a gelate e brinate e a peronospora e tignola. Possono coesistere impianti franchi di piede e portainnesti americani, che hanno conferito buona vigoria alle marze (“Kober 5BB”…).
Ognuno – beninteso – ha le proprie bottiglie del cuore, io ho La Colombiera (che inaugura a maggio 2018 la nuova sala degustazioni), Ottaviano Lambruschi (coi cru “ponte” fra romanità ed avvenire), e Giacomelli (in quella frazione Palvotrisia che con Luni “condivide” i reperti di una necropoli). Sono eccellenze che sposano tanta, tanta etno-culinaria ligure, mi raccomando tu sérvile intorno agli 11°C in tulipani a stelo alto… Ma circa questo terroir, queste viticolture, uliveti, ricettari…esistono da decenni tsunami di scritti, talora autorevoli e avvincenti talora no, talora “Gino” Veronelli, Mario Soldati, Angelo Paracucchi (coi matalluffi di grano, la cipollata, il gran pilà, il budino di riso con rigaglie…), le letture migliori, stagioni da tanto trascorse… Io da parte mia, più giovane d’oggi, lì approfondii parole come Linero, Boboli, Sarticola, Caprignano, ancellotta, caricalase… E colline dove la polvere di marmo si mescola a salmastro, paesaggi cifrati dall’inconfondibile Guyot…
Il messaggio da trarne, sempre, è che il futuro risiede nella memoria, però non i miopi misoneismi. La natura, le tradizioni, l’artigianato si confermano, in senso antropologico ed esperienziale, beni la cui tutela indefessa, ergo la promozione, in un Paese quale l’Italia s’impone primaria. Wildlife stays, wildlife pays.
Leggo che c’erano mulini ad acqua per granaglie e castagne, a Castelnuovo Magra, si pensi a Molino del Piano, e il 2 novembre i ragazzi vestivano collane di castagne, che le cuoche di casa bollivano con alloro, o trasformavano in delizie salate e dolci… Farine farine, sulla spianatoia della mastra (madia) ecco – con ingegno frugale – i duttili panigazi cotti su ghisa (ma anche i testaroli di Vallecchia e occorrerebbe un trattato a sé), ecco la kasenta e gli sgabei/skabeli fritti (2), la kizoa (una focaccia con salsiccia), la polenta di mais (incatenata da borlotti e cavoli neri o sposata al merluzzo), o d’orzo, la paniza di ceci, la toscaneggiante polka rivolta (dal latino puls) ovvero un “matafama” di farine bianca e gialla impastate con cipolle bianche a fettine, e infornate, mentre l’alvolta è sola farina bianca.
Quanto alla pasta, essa accosta(va) ritualmente i fagioli, ma talvolta erano maccheroni o lasagne al fondo di cottura delle cotenne ripiene, piatto brodoso, di “riciclo”, che tuttavia crea dipendenze, migliore se pre-colombiano (ovvero senza pomodoro). Piatti tutti, voglio ripetermi, della memoria, sagaci, identitari, da salvare.
Il menu locale sciorinerebbe poi le patate (sia la torta di patate e porri sia le patate alla cenere tipiche in stagione di frangitura), i ceci con salsicce, il fritto di terra, il coniglio anche riempito, il fricandò d’agnello, la capra con polenta, le tomaselle, più suine che bovine, che cuociono anche in bianco e sovente “fasciano” mortadella, e gli stufati e i polpettoni di verdura…
Fra i dolci, infine, il seccone (goloso presso il panificio Terarolli), i tortei de rizo, le torte per il patrono San Fedele – festa di fine agosto – , le polpette di patate dolci, la “focaccia” natalizia e pasquale, ma anche – last not least – il benefico miele degli apiarii…
Le mirabilia che ti canto, amico lettore, gòditele a Castelnuovo Magra, perché su atlanti e Google Maps la Liguria non si trova casualmente dov’è, ossia un volto dirimpetto al mare ed uno alla montagna. La Liguria si trova lì perché lì è magnifico incontrarsi.
(1)la castelnovina è cultivar da olio e da mensa, detta anche nostralina. L’albero, di dimensioni contenute, è di robusta costituzione, e contrasta bene le principali patologie. Dà drupe piccole, tondo-ovali. Oggetto ormai di attento studio, alcuni produttori anche per la sua produttività costante hanno cominciato a lavorarla in purezza.
(2)circa i principali street food liguri, si veda U. Curti, “Focaccia, farinata e finger food. Storie di Liguria, ricette, strade…”, Genova, 2011. La kasenta nasce (di solito) da mix di farina bianca e gialla, Paracucchi la suggeriva coi fichi secchi. Il lemma “sgabei” parrebbe indicare uno sgabello, un sostegno. In loco, gli sgabei (di varia forma) sposano prosciutta, paté di lardo, o salsicce artigiane della vicina Montignoso (MS)…, ma beneficiano anche, certamente, di erbette profumate, di timo salvia rosmarino… Cibi (e lieviti) che attengono non solo al Mediterraneo ma anche, per esempio, all’Emilia, che li accosta ai propri (divini) salumi e squacqueroni…
CASTELNUOVO MAGRA
Castelnuovo Magra è un borgo situato sul Monte Bestione dal quale si gode di una visione a 360° sulla Val di Vara e sul mare. Si raggiunge uscendo dall’autostrada A12 al casello di Sarzana. Da Sarzana si seguono poi le indicazioni per Castelnuovo Magra.
A Castelnuovo Magra si possono visitare il Castello che domina il borgo, il centro storico e la Chiesa di Santa Maria Maddalena e, infine, il Palazzo Comunale.