Scrive lo storico Luigi Tommaso Belgrano (Della vita privata dei genovesi, 1875), riferendosi alle tavole della quotidianità cittadina nei secoli appena trascorsi: “Usavano le spezie rotte in salse nelle quali spiegava tutto l’ardore il pepe e il pepe lungo, il garofano, la noce moscata, la cannella, il gengevero, la galanga, il macis, il cubebe e simili altre delizie, l’uso delle quali era cresciuto a dismisura dopo le prime Crociate e d’alcune di esse, come il pepe, può dirsi che faceasi allora quel consumo che in oggi si fa dello zucchero e del caffè…”
Spezie deriva da “species”, ovvero mercanzie, robe, derrate, poi le “merci” per eccellenza. A Genova, nel cuore dei carruggi ad un passo dalla “Maddalena”, esiste un suggestivo vico dei Droghieri, legato ad un’attiva corporazione che ivi stoccava e negoziava le merci, e che pregava in una propria cappella, intitolata a Sant’Antonio da Padova, nell’ormai abbattuta chiesa di San Francesco di Castelletto (presso Palazzo Bianco, dove via Cairoli incontra l’aurea via Garibaldi). I commerci delle “droghe” si svolgevano anzitutto nella vicina Sottoripa, la palazzata con archi che tuttora separa il dedalo della casbah genovese dal “caricamento” portuale: spezie, frutta secca e passita, zucchero indiano, generi rari, il meglio del Mediterraneo, ma anche mastice (fissante per tinture), allume di rocca, incenso arabo, tappeti persiani, seta cinese… Merci che scavalcavano l’Appennino sui dorsi dei muli… Un’eco di quei tempi è solo nelle botteghe storiche, come la fornitissima drogheria Torrielli aperta nel 1930 in via San Bernardo.
Belgrano non fa che confermarci come le spezie, con seta e oro, avessero rappresentato alcuni fra i più ambìti business e beni distintivi del Medioevo. Mentre le piante aromatiche si utilizzano tendenzialmente fresche o freschissime (si pensi alle foglioline di basilico per il pesto (1), delle spezie – secondo casi – da sempre si utilizzano parti diverse, radici, cortecce, germogli, semi, bacche, sovente sottoponendole a processi fra cui, assidua, l’essiccazione.
Innegabilmente, sin dall’antichità e ben prima di Roma, esse attrassero non solo per il loro profumo ed esotismo, ma anche perché ritenute preziosità lato sensu “prodigiose” quanto a proprietà conservanti, medicamentose, cosmetiche… Cinesi, Egizi, Fenici, Greci, furono tutti molto sedotti da queste sostanze non solo alimentari, alla cui lavorazione gli specialisti dedicavano non di rado esoterismi. E quando toccò a Roma, essa (I secolo d.C.) inviò equipaggi sino alle “Indie”, con navigazioni – per così dire pre-monsoniche – anche di due anni, da cui talora le flotte neppur tornavano. Circa la cosmesi romana, avida di spezie, troviamo non a caso testi seducenti in Ovidio (43 a.C. – 18 d.C), poeta di corte, ad esempio il Medicamina faciei.
La città di Tiro in Libano, poi la magnifica Alessandria d’Egitto, infine Costantinopoli (Istanbul, sul Bosforo) rappresentarono dunque le prime capitali del commercio su larga scala di spezie, come si vede le spezie coabita(va)no con le civiltà colte, raffinate ed inurbate. Fu infatti la caduta dell’impero romano nel V secolo quel che a lungo decretò stagnazione dei traffici, in quanto molta Europa, predata da orde guerriere, priva di centri di riferimento, aveva ormai ben poco da “barattare” con gli Arabi, i quali, via via dominando terre (e mari) dalla Cina alla Spagna, s’impadronivano anche dei mercati e delle “tecnologie” importanti. Quell’Europa sventurata salvò parte di sé grazie all’alacrità di tanti cenobiti, capaci speziali/agronomi (si pensi all’olivicoltura), e grazie alla lungimiranza di Carlo Magno il quale, ormai maturo, decretò che attraverso l’immenso Impero si coltivassero (perpetuassero) molte fra le spezie e gli erbaggi più compatibili coi climi locali. Il famoso Capitulare de villis non è altro che un’ordinanza in 70 punti a difesa di ciò che restava delle economie agropastorali del continente, al fine di sfamare le popolazioni.
Con le Crociate balzarono in scena Venezia e Genova, e – beninteso – la loro rivalità. Fra l’altro entrambe possedevano un vasto quartiere di San Giovanni d’Acri, capitale del Regno di Gerusalemme, circa cui, nel XIII secolo, si scontrarono in una guerra (detta “di San Saba”) durata 15 anni.
Ma le incredibili navigazioni di Vasco da Gama (1448-1524), Colombo (1451-1506) e Magalhães/Magellano (1480-1521) progressivamente spostarono gli equilibri economico-politici e le importazioni. E la scoperta delle “Americhe” rivoluzionò neppur troppo lentamente (eccettuati pomodori e patate) anche i menu europei: mais, zucche e zucchine, fagioli e fagiolini, peperoni e peperoncini, cacao…
Infine, le cosiddette Compagnie delle Indie, agenzie che “consorziavano” i maggiori operatori commerciali e godevano dell’incondizionato appoggio dei rispettivi governi (Olanda, Inghilterra, Francia), di fatto, ormai sovrane di mari e strade, avocarono a sé la totalità delle possibili transazioni, cosicché contestualmente la forza dei governi nazionali prevalse su quella delle città-repubbliche minori, in specie Venezia e Genova (ormai centri di un potere più finanziario che, operativamente, mercantile). Repubbliche gloriose le quali non a caso decaddero entrambe, definitivamente, nel 1797.
Venezia ha serbato nelle sue cuciniere una maggior inclinazione verso le spezie e, per così dire, verso “l’oriente”. Del resto già nel 1000 si celebravano i cosiddetti sacchetti veneti, riempiti dagli speziari (che trattavano anche riso) di pepe, cannella, coriandolo, cumino, chiodi di garofano, noce moscata, macis… Anche Venezia è tuttora città di profumi, odori forti, voci poliglotte. Però incontriamo alcune spezie, senza ormai farci troppo caso, anche in piatti della tradizione genovese/ligure, ecco l’anice negli anicini e pandolci, ecco il pepe sulla farinata e nei salami come il Sant’Olcese, ecco la cannella nella spungata sarzanese, ecco – permettetemi di aggiungerlo – anche il caffè (2) nella pànera, quel “semifreddo” che si gusta solo a Zena (3).
Peraltro, se le spezie sono oggi di facile acquisto, la cucina genovese/ligure ha mostrato negli ultimi secoli di esser già in sé profumatissima, di non averne eccessivo bisogno. Nondimeno è interessante concludere con un breve itinerario presso alcune storiche e apprezzatissime attività genovesi dove trovare – caso per caso – spezie, farmacopea, omeopatia, prodotti erboristici, cosmesi, thé, tisane… La “Farmacia Alvigini”, via Petrarca 14r, la “Drogheria Torielli”, via di San Bernardo 32, la “Antica erboristeria San Giorgio”, via Luccoli 47r, la “Antica farmacia dei Frati di Sant’Anna” (Carmelitani), piazza Sant’Anna 8, la “Erboristeria Svizzera”, via Casaregis 38 (quest’ultima ubicata alla Foce, non nel centro storico).
Ma qualora alla cura olistica del corpo il turista voglia abbinare anche i piaceri culturali e gastronomici, la “casbah” genovese è un forziere inesauribile di artigiani, antiquari, bouquinistes, friggitorie, tortai, trippai, pescherie, pasticceri e cioccolatieri… Buon tour!
- si conservano in frigo, nel cassetto verdure, o si può ricorrere a metodi sottovuoto. V’è anche chi le pesta/trita e congela in freezer dentro le vaschettine del ghiaccio, coprendole bene d’olio (si spera extravergine), per averle poi pronte. Ma possono anche essere essiccate e chiuse in barattoli ermetici, da posizionare al fresco e lontani da fonti luminose. Fu proprio la ricchezza in Liguria di piante aromatiche (la cucina ligure, come noto, fa largo uso di prezzemolo, timo, basilico, rosmarino, alloro, maggiorana, salvia) che determinò in qualche modo il declino ottocentesco delle spezie, le quali, liberate dai monopolii esclusivi, erano anche diminuite di prezzo, ciò che le rendeva meno trendy agli occhi dei ceti abbienti e raffinati. Le erbe aromatiche in Liguria profumano anche il preböggiön, mix di piante spontanee il quale entra nei pansoti, nelle torte di verdure… La crescita di queste piante, fra cui la mitica boraggine, beneficia del calore solare “conservato” da quei muretti a secco che “terrazzano” le fasce coltivate, celebri nel paesaggio antropico ligure.
- il caffè storicamente condivise, anche per le frequenti contiguità geografiche, i destini commerciali delle spezie. Inoltre, in Etiopia, dove il caffè è stato individuato, esso viene aromatizzato variamente con zenzero, ruta (diffusa anche in Italia), sale marino, fieno greco (le prime notizie riguardano Persia ed Egitto), cardamomo (che fu sempre costosissimo), cannella o chiodi di garofano… Gli intenditori stanno riscoprendo alcuni accostamenti.
- i consumi di spezie degli italiani/europei restano peraltro residuali, là dove viceversa in India si quantificano consumi quotidiani pro capite di spezie di circa 10 g. Le spezie oltretutto hanno in genere profili nutrizionali interessanti, apportano alcune vitamine dei gruppi B e C e alcuni sali fra cui, essenzialmente, calcio e ferro.
Umberto Curti