Quando nel gennaio 1432 il veneziano Pietro Querini, rampollo d’una schiatta di mercanti, infine naufragò con pochi superstiti alle Lofoten, a suo dire “culo mundi”, difficilmente previde che quei pesci, appesi per mesi a rastrelliere, interi (senza capo e visceri), onde si “liofilizzassero” al vento di un clima ideale, sarebbero stati mezzo millennio più tardi perfino primattori di biografie, come quella di M.Kurlansky, edita qui da Mondadori, che li definisce capaci di cambiare il mondo…
Stoccafisso, merluzzo bianco gadus morhua, è probabile calco da stokkfisk/stocvisch/stockfish = pesce bastone, ovvero… cibo di scorta (gli archeologi accennano ad export dalla Norvegia anteriori all’età vichinga, e per i Vichinghi, oltre che cibo, lo stoccafisso fu principale riserva di bordo e di scambio).
Gli isolani delle Lofoten non si mostrarono gelidi, ma ospitalissimi. Nella relazione al Senato, salvaguardata alla Biblioteca Apostolica Vaticana, Querini precisò che “I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia”..
Si legge anche nelle Regole della sanità… di Ugo Benci/Benzi, medico senese attivo sino al 1439: “Dura per anni come fanno alcun’altri (pesci) salati; ma inanti che cuocerlo, bisogna in primo smaccarlo, e azzaccarlo molto bene con mazze di legno e indi si taglia in pezzi e s’alessa: è cibo saporoso preparandosi con buone spetie e è di buono et lodabile nutrimento…”.
E, dopo Colombo, l’intensificato traffico sui mari nordici condusse ad una “affermazione” gastro-ittica eccezionale, tanto che in pochi anni molte flotte specializzate salparono da Marsiglia per giungere addirittura ai banchi di Terranova.
I genovesi stessi, navigatori e grossisti più che pescatori (data 1586 la prima nota di sbarco di stoccafisso in porto), si convertirono in fretta, tanto più che dopo il Concilio Tridentino controriformista, conclusosi nel 1563, crebbero ancora i giorni di magro, e lo stoccafisso fu rito del mercoledì e venerdì e insostituibile nei 40 giorni di Quaresima. Presso i “pizzicagnoli”, veneziani così come zeneixi (ma presumo anche lericini…), lo stoccafisso – più che il baccalà – costituì sùbito un delirio di massa e un brand, per le qualità organolettiche e la duttilità d’impiego, surclassando gli storioni affumicati.
Merluzzo presenziò anche il ricettario di Scappi (†1577), il più noto fra gli chef pontifici, “la merluccia è di color berrettino…nelli liti di Spagna si seccano et sono portate in Italia spaccate..”, il che farebbe presumere non fosse baccalà.
Via via le acque portuali si popolarono di “cadrai” e “spezzine”, mini-trattorie galleggianti su gozzi o chiatte, che accostando chiassose i vascelli e galeoni proponevano anzitutto minestrone fumante, di salubri verdure fresche, con pesto al triplo aglio, e stoccafisso (cadrai, il lemma nascerebbe significativamente da caterer, 40 erano ancora attivi nel 1911). Bim bum bà, stocchefisce e baccalà, fece eco la giocosa conta popolare.
La famosa qualità “ragno” deriva in realtà da storpiatura dell’esportatore norvegese Ragnar, marchio che garantiva selezioni delle pezzature migliori (“baffa” indica il mezzo pesce, diliscato). Sceso dalle rastrelliere, il pesce già in patria è vagliato da occhi e nasi dei Vrakeren, i classificatori, che ispezionano forma, pulizia, assenza di muffe ed ecchimosi… Le tabelle commerciali distinguono poi i tipi di 1^ scelta (Westre magro e Demi Magro, Grand Premier, Lub, Bremer, Hollender, Westre Courant, Westre Ancona, Westre Piccolo), caso per caso prescelti perché più o meno magri, polposi, sodi, brillanti… L’imballaggio in arrivo a Genova prevedeva di solito sacche di juta da 50 kg, munite di “orecchi” per muoverle più facilmente.
Si acquista battuto e flesso (per sfibrarlo) e “rinvenuto” in acqua corrente ben fredda per vari giorni, ma chi lo acquista secco lo bagna da sé a casa. Poi, pur nato in acqua, “muoia in olio”. La ricetta accomodata, fra mille la più celebre, è da fine ‘700 con patate (cheap, economiche). Toeletta e cottura attenta, non protratta, v’è chi non elimina la pelle, il cui collagene conferisce cremosità. Al confine col Piemonte vi accostano polenta. La ricetta abbina, per il pomodoro, un rosso tenue, ad es. un Ciliegiolo della DOC tigullina. Dello stoccafisso i liguri adorano anche le budelline (trippette), essiccate e cotte in umido – più di rado arrostite – , ormai introvabili.
Una precisazione mai superflua, anche per i fans della Cuciniera di Ratto (1863), il quale cucinò sia “stoccofisso” sia baccalà: baccalà è sempre gadus morhua ma sotto sale, e narra anche storie fiamminghe, per il nome, anseatiche, per il marketing, e basche, per la salagione (tuttavia, ad esempio, il celebre baccalà alla vicentina è stoccafisso…). E, a proposito do fiel amigo, dato che tale era ed è in Lusitania, puntualizza chef Escoffier (1903), «si deve ai Portoghesi il riconoscimento per essere stati i primi a introdurre nell’alimentazione questo pesce prezioso».
Varie tradizioni e festeggiamenti si legano in Liguria allo stoccafisso.
“Trasversale” lo stoccafisso e bacilli, piatto del giorno dei morti, “pe i morti, bacilli e stocchefisce nö ghe famiggia che nö i cöndisce”, e cantano anche i Trilli, gruppo folk genovese: “T’aveivö ditö de fâme ö stocchefisciö e bacilli…”. I bacilli sono le favette (tunisine ecc.), note già agli antichi Egizi che le ponevano nelle tombe, a mo’ di occhi dei defunti. Vanno ammollati 24 ore in acqua tiepida non salata, perché il sale li indurirebbe, poi lessati. Una volta uniti allo stocche, anch’esso lessato, si lega il tutto con olio, limone e aglio battuto, talora qualche fettina di cipolla e un passato di pomodori freschi. L’abbinamento al piatto è un DOC Riviera Ligure di Ponente Vermentino, o un Ciliegiolo in presenza del pomodoro.
Tipico di Badalucco (IM) lo stoccafisso cosiddetto alla baucogna. Badalucco era il polo commerciale della Valle Argentina e grazie alla duttilità e conservabilità dello stoccafisso (che vi veniva portato coi muli) potè resistere nel ‘600 agli attacchi pirateschi dalla costa. Oggi la splendida località è, non a caso, gemellata con le Lofoten norvegesi. Questa è ricetta, anzi rito sociale, a lunga cottura – ore ed ore dentro capace calderone – in olio, vino bianco e brodo dove si sono “disfatti” anche funghi secchi, acciughe, frutta secca, sapori… Secondo alcuni puristi, il vino va sostituito con acqua della sorgente che sgorga dentro un fondo nel quartiere di Vezargu. Festeggiato la terza domenica di settembre, si mangia pubblicamente, com’era per il preböggiön di Sestri Ponente.
Infine lo stoccafisso di Cantalupo si riferisce ad una sagra, che si svolge a gennaio nella frazione di Cantalupo sovrastante Varazze (SV), durante la quale, oltre a gustare il pesce, si gareggia nel “lanciarlo”. Ovviamente si tratta delle pezzature ancora essiccate.
Ricetta di Umberto Curti (per maggiori info qui).